Un altro capolavoro in versi dell’autore del Cirano di Bergerac, in cui i personaggi, tutti animali e principalmente pennuti, raccontano attraverso un vorticoso apologo le eterne umane vicende ed i conflitti primordiali che permangono immutati anche nella nostra evoluta civiltà.
Presentato a Parigi nel 1910 al Théatre de la Porte-Saint-Martin con una compagnia di oltre 50 attori, questo testo è stato messo in scena di recente in Francia da Jerome Savary nel 1994 al Thèatre Nazional de Chaillot.
In Italia non se ne ricordano rappresentazioni, anche se esiste una pregevole traduzione, ma datata, ad opera di L. Stecchetti ed E. Giaquinto edita da Casa Editrice Vitagliano di Milano (collezione di teatro diretta da Renato Simoni) del 1920.
Si è sentito dunque il bisogno di una nuova versione del testo, e, affidandola ad un drammaturgo come Enzo Moscato, già traduttore anche dell’Ubu Roi di Jarry per il Teatro di Roma e de Il Tartufo per la Compagnia di Luca De Filippo, l’opera ha ritrovato un linguaggio moderno di grande forza e poesia.