Gli abitanti” è tanto una recita quanto un rito. Nato di lettura in lettura con gli attori e scritto per loro, è un testo sull’omissione e sul fare a meno di tutto, compreso se stessi. Forse si è protagonisti della propria esistenza, ma in quelle degli altri si è sempre e solo comparse. Dunque: ridursi: ridursi fino alla preistoria. Consapevoli che il tempo è una piccola luce in lontananza.
Alessio Forgione
Alessio Forgione, di cui ho già apprezzato il suo ultimo romanzo “Il nostro meglio”, tempo fa ha riunito quatto giovani attori (di cui il caso vuole che li conosca tutti, chi più chi meno) e ha scritto per loro un testo, come si faceva ai tempi di Molière, se non prima. In questo testo, che si chiama “Gli abitanti”, i personaggi oltre ad essere pensati per questi quattro giovani interpreti, ne portano anche il nome, in due casi anche il cognome. Racconto tutto questo per far capire che quello che mi riprometto di fare, nelle varie tappe di prove, è soprattutto un lavoro di direzione di attori e di collaborazione stretta con l’autore, in questo caso in veste di “drammaturg”. Tutto questo è per me nuovo e stimolante, anche perché avviene su un testo interessante, con una bella teatralità, ricco di suggestioni, aperto a modifiche e variazioni, e che volutamente chiede un “non allestimento”. Vi è uno spazio, un rumore di vento continuo, una unica fonte di luce che limita, lottando con il buio, il luogo dell’azione. E poi loro: Domenico, Luciano e Martina, Daniele, quattro personaggi/attori in cerca chi di un gatto, chi dell’altro da sé, chi della propria famiglia, ma in fondo ognuno di loro degli altri tre, finché ci sarà luce e tempo per respirare. Una visione del nostro presente, non priva di ironia, ma decisamente terminale, anche se poi si sa che a teatro si muore e ci si rialza, e questo ogni volta.
Arturo Cirillo