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LA FINTA PAZZA

regia Lucio Allocca

RIDOTTO DEL MERCADANTE 13 Dicembre 2004   2 Gennaio 2005

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Dal 9 al 10 aprile al Teatre Poliorama di Barcellona, nell’ambito della Rassegna Multidisciplinare sulla cultura napoletana “Els napolitans ’05

La finta pazza
da Carlo Sigismondo Capece
regia Lucio Allocca

drammaturgia Mario Santella
scene Lugi Ferrigno
costumi Anna Maria Morelli
disegno luci Lello Serao
musiche Rosario Del Duca

Personaggi e interpreti

Don Pandolfo, padre Ciro D’Errico
Isabella, figlia di Don Pandolfo Roberta Serrano
Don Alvaro, cavaliere spagnolo Antonio Conforti
Diana, dama francese sua nipote Patrizia Di Martino
Enrico, amante di Isabella Gennaro Monti
Ottavio, nipote di Pandolfo in abito da donna Marco Matarazzo
Spinetta, serva di Pandolfo Laura Borrelli
Pulcinella Michele Danubio

assistente alla regia Michele Danubio
collaborazione alla drammaturgia Lucio Allocca e Michele Danubio
assistenti ai costumi Roberta Mattera, Giovanna Napolitano

direttore di scena Enzo Palmieri
elettricista Rosario D’Alise
scene realizzate da Laboratori&Laboratori Flegrei s.r.l.
costumi di C.T.N. 75 di Canzanella Vincenzo
calzature Pompei 2000 s.r.l.

fotografo di scena Giuliano Longone

si ringrazia
La Biblioteca Nazionale Centrale di Roma
Ettore Nigro, Théâtre de Poche

Note di regia
Siamo a Roma alla vigilia del carnevale del 1719. Una Compagnia di comici, con a capo Pulcinella, è stata invitata a rappresentare una commedia “premeditata” dell’avvocato Carlo Sigismondo Capece, poeta e librettista (scrisse per Domenico ed Alessandro Scarlatti), benvoluto dalla Principessa Caterina Salviati Colonna, “Gran Contestabilessa del Regno di Napoli”, alla quale è dedicato lo scritto.
Ma quello “Sciaraballo” (Chars à bancs) variopinto e misterioso, su cui viaggiano e vivono in promiscuità i comici, fermo dinanzi al ”Palazzo”, suscita la curiosità e la diffidenza dei “Superiori” che prima di dare la loro “Licenza” alla rappresentazione esigono di assistere ad una prova con il testo alla mano, per verificare se “il dire e l’agire” dei commedianti sia conforme a quanto scritto dall’autore e che non sia frutto della loro “licenziosa fantasia” esercitata con anni di “recitazione all’improvviso”.
Ma il passato di attori da piazza, o “da banco” è ancora vivo in loro e evidenzia l’inadeguatezza alle regole che il “nuovo teatro scritto” impone. Come afferma Roberto Tessari nel suo volume Commedia dell’arte: la maschera e l’ombra: «per quanto attiene al definirsi della recitazione come nuova forma di “mestiere” (e non di espediente), per di più mediano tra attività “mercenaria” e attività culturale, la contaminazione e la contrapposizione tra recitante-cerretano e professionista della finzione scenica rimane cifra efficace delle difficoltà di mercato e delle difficoltà di affermazione sociale entro cui si muove, e continuerà a muoversi la nuova pratica del teatro” cercando a fatica la piena affermazione di una industria del divertimento che si vuole autonoma, ma che, nell’occupare, “saloni” “cittadini” o “sale limitrofe” alle corti, non può non aprire ambigui rapporti con la Cultura e con il Potere».

Carlo Sigismondo Capece
Nato a Roma nel 1652, studiò in Spagna, fu segretario della Regina di Polonia, brillò come letterato tra gli Arcadi, chiamandosi Mestito Olbiano, fece l’avvocato in Roma, quindi fu inviato come diplomatico alla corte di Francia. Scrisse numerose commedie per Maschera, e almeno quaranta per musica tra le quali alcuni libretti per Haendel e Alessandro e Domenico Scarlatti. Alla  Biblioteca Nazionale di Roma sono conservati alcuni “melodrammi” scritti con musiche di Alessandro Scarlatti, e andati in scena tra il 1696, il  1712 ed il 1718 a Roma in Teatri quali: il Teatro di Tor di Nona, alla Sala dell’Illustrissimo Sig. Federico Capranica, nel Teatro Domestico della Regina Maria Casimira di Polonia. (Tolomeo ed Alessandro, Ifigenia in Tauride, Teti in Sciro, Tito e Berenice, L’Orlando, ovvero La Gelosa Pazzia). Al Teatro del Mascherone del Farnese andarono in scena le Commedie con il Pulcinella tra le quali, nel 1719, La finta pazza e, nel 1722, Il testamento di Pulcinella. Scrisse diciotto Commedie con il Pulcinella, fra le quali oltre le già citate, ricordiamo: Li Pulcinelli fratelli, Gli equivoci dei due Pulcinelli,Pulcinella Negromante, Pulcinella Podestà, La locanda di Pimpa e Pulcinella, Pulcinella finto giocatore, Pulcinella in Giostra. Molte altre sue opere sono conservate nella Biblioteca Colonna ed in quella di Doria Pamphili. “La farsa di Pulcinella, che nel primo secolo automaticamente seguì la Commedia dell’Arte, a metà del sec. XVIII si emancipò, per diventare nel primo Ottocento, sempre più locale e per finire, a metà del secolo, nella attualità completa. Fu con le opere di Capece che la commedia di Pulcinella iniziò questa evoluzione, alla fine del Seicento, cioè oltre settanta anni prima che la tentasse il primo scrittore napoletano di Pulcinellate: Francesco Cerlone”. (Cfr. A.G.Bragaglia, Pulcinella). Diceva il Capece, delle sue Pulcinellate: “non ci è altro dell’autore se non che la concatenatura e disposizione dei periodi e delle parole.” (essendo le trame, quelle della Commedia dell’Arte). Ed ancora “sarà nova e non sarà novao parte di essa sarà stata rappresentata in Commedia all’Improvviso, perché  ormai non si può più dire cosa alcuna che non sia stata detta”. Scrisse e fu accanto al conte Giacomo d’Alimbert, quando questi, rovinato dalla demolizione del Tordinona, si aggregò alla Regina di Polonia che faceva teatro in casa sua alla Trinità de’ Monti.
Capece morì, lontano dai fasti dei salotti Romani e dalle luci della ribalta, quasi esule, come segretario del Marchese di San Giorgio, a Polistena, in Calabria, nel 1728.