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08/12/2024
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LAGUNA CAFE’
di Giuseppe Affinito
regia Benedetto Sicca
con Giuseppe Affinito e Gianluca Merolli
scene Luigi Ferrigno e Sara Palmieri
luci Cesare Accetta
costumi Dario Biancullo
drammaturgia musicale e disegno del suono Chiara Mallozzi
consulenza coreografica Luna Cenere
assistente alla regia Antonio Turco

produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Fondazione Campania dei Festival – Campania Teatro Festival
in collaborazione con Casa del contemporaneo

 

In uno spazio sospeso tra realtà e immaginazione, due uomini si ritrovano dopo anni per affrontare ricordi e rimpianti. Compiono un viaggio emotivo che esplora l’amore e le relazioni e che li condurrà fino al compimento ineluttabile del loro destino. Un incontro che mette a nudo la vulnerabilità umana, l’inadeguatezza dei sentimenti e la ricerca di una verità condivisa. 

Note di regia – Benedetto Sicca
L’anima è una forza che ci permette di percepire tutto ciò che ci è estraneo. Ci fa sentire un’emozione, ma non si riduce a un semplice sentimento; ci aiuta a costruire idee e valori, ma non è solo un pensiero; ci porta al piacere, ma non è soltanto piacere, perché include sempre qualcos’altro. Quando la coscienza la riconosce, l’anima ci offre l’opportunità di superare i limiti dell’Io, e la sua bellezza si manifesta in questo movimento.
I due protagonisti di Laguna Cafè, Giosuè ed Andrea, si rincontrano dopo 10 anni per una sorta di resa dei conti dell’anima. Si ritrovano accecati dal loro battito cardiaco ed assordati dalla luce dei propri desideri, in un viaggio sinestetico in cui il senso sta tutto nel percorso e non nell’approdo.
Giosuè è un’Anima che lotta per inseguire la propria passione, ma rimane incastrata in un futuro che non arriverà mai. Andrea ha un’anima incastrata in un’esistenza che diviene il crudele diaframma tra il desiderio e la vita.
Giosuè ed Andrea, come tanti di noi, sono condannati a non poter evolvere, a non amare per davvero, ad aver bisogno l’uno dell’altro, a non potersi più desiderare. Perchè il desiderio, quello puro, non può essere un bisogno.
Ci siamo interrogati su come mettere in scena il desiderio di un’Anima. Alla fine ci siamo messi davanti ad un sipario chiuso: in un “incastro di tempo” in cui sovente anche le nostre anime si bloccano, in attesa di poter manifestare se stesse e fluire libere dai condizionamenti dell’Io e del mondo. In questo spazio, non c’è posto per il desiderio, ma solo per il bisogno.
Ma mentre il desiderio fluisce accanto all’anima, guidandola verso la sua realizzazione irraggiungibile, il bisogno è il killer dell’anima: la ingabbia in un buio nevrotico, dove può rimanere incastrata per tutta la sua esistenza.
Ciò che è vita senza essere bisogno, chiamiamolo amore. Il resto, no.
Mettere in scena un testo che parli di questo in un’epoca oscurantista e reazionaria, in cui il linguaggio pubblico scivola verso una deriva intimidatoria, mi pare uno dei compiti del teatro. Questa deriva colpisce chiunque non si allinei a comportamenti normati, tranquillizzanti e di “buon senso”, in quanto maggioritari.
Ringrazio il Teatro Nazionale di Napoli, il Campania Teatro Festival ed il supporto di Casa del Contemporaneo per aver sostenuto questo atto politico e poetico. Ringrazio anche tutti i miei compagni di viaggio: Giuseppe, Gianluca, Chiara, Luigi, Sara, Cesare, Dario e Antonio, per la loro presenza fondamentale in questo processo di creazione collettiva.
Una creazione che non serve a niente, ma che riflette su alcune nostre misteriose responsabilità: ascoltare la musica della nostra Anima, difendere sogni e idee senza fare tragedie se vengono sviliti o fraintesi, coltivare progetti e accettare di non vederne i frutti.
La responsabilità di abbandonarsi a un amore o a un’amicizia, ma di saperne accettare la fine.

                                    

Note dell’autore – Giuseppe Affinito


Cosa diresti se ti trovassi in un posto in cui puoi dire tutto, senza esclusione, senza paura, a chiunque, a te stessə, a nessunə? Un posto in cui l’amore e incondizionato e tutto è possibile? Laguna cafè trae la sua ispirazione da questa domanda e nasce come un inno alla fragilità, una danza della tenerezza. La tenerezza: una cosa semplicissima e delicata, a volte dimenticata, sognata, temuta.
Qui ci sono due persone fragili che si chiedono un po’ di tenerezza.
Giosuè è pieno di dolcezza, di una disperata vitalità, di un’incredibile e tormentata voglia di amare.
Vive ancora e costantemente all’interno di un sogno o, forse, di una nevrosi.
Andrea e duro, consunto, disilluso, a tratti brutale. La sua ormai e una realtà fatta di scelte concrete e minori fantasie.
Il luogo in cui, però, si incontrano e che rievocano e un luogo di sogno, di potenza, di bellezza, in cui avere cura, in cui poter essere anche piccoli e indifesi. Un mondo di libertà mancante all’interno delle nostre società, un mondo che ci vogliono nascondere, fatto dall’individuə stessə, dove le regole non attecchiscano, così grande da avere spazio per tutte le soggettività, dove non conviene più apparire o appartenere, dove si può finalmente essere.
Ho scelto una dinamica apparentemente molto semplice, quella di un incontro tra due persone che si sono amate – o hanno provato ad amarsi, in cui quasi chiunque può trovare possibilità di immedesimazione, per arrivare a parlare di qualcosa di molto più intimo e radicato. Esplorare, cioè, attraverso il linguaggio e i corpi, un certo disagio del contemporaneo rispetto all’amore, alle relazioni, ai sentimenti, alla sessualità.
La mia generazione, in particolar modo, è quella di chi si trova a fare i conti con le nuove precarietà del mondo “adulto”, le domande di un presente instabile, le incertezze di un futuro evanescente. Ma anche con la violenza di una società omologante e sovradeterminante, che schiaccia e disprezza chi è difforme, che insegna l’amore come qualcosa da guadagnare con fatica. Più alti sono i canoni, maggiore e la performatività richiesta e maggiore è la frustrazione. Tutto questo si traduce in una grande paura: quella del fallimento. La paura di non farcela, di sentirsi inadeguatə, paura del rifiuto, dell’abbandono.
Si propaga allora un torbido meccanismo di condizionamenti e aspettative che inquina le nostre relazioni, con gli altri e con noi stessə. Per timore di non avere lo spazio per essere accettati per ciò che siamo, cerchiamo di assomigliare a qualcosa di riconosciuto, ci trasformiamo in ciò che vogliono e si attendono da noi. Ci rinchiudiamo inconsapevolmente in delle prigioni emotive dove i nostri desideri e le nostre identità sono facilmente individuabili e spendibili nel “mercato” sessuoaffettivo, in conflitto continuo tra la voglia di dare e l’angoscia di chiedere. Il luogo al centro di questo testo – la laguna – racchiude allora proprio il desiderio – o l’utopia – di curare le nostre ferite e restituirci la liberta di immaginare ciò che non ci permettiamo più di immaginare. Restituirci, cioè, la forza, il coraggio di divincolarci dalle gabbie dei condizionamenti e non fare mai più compromessi con il nostro cuore.         

Note sulla drammaturgia musicale – Chiara Mallozzi

Le tracce del cuore, un lago abitato da alberi e insetti, un vecchio pianoforte. Questi, i mondi sonori della Laguna, e quindi: il suo tempo, la sua ossessione; il suo mutare e il suo ricordo.
E così, le canzoni sono pagine iconiche della Storia della musica di cui ascoltiamo una memoria vocale; il paesaggio assume sembianze magiche; il pianoforte, chissà da dove, suona ostinato un tema che si rinnova, o si consuma, nel canto e nel respiro. Tutto a costruire (ancora una volta) lo spazio d’amore in cui Andrea è invitato da Giosuè a giocare. E noi, con loro, a tornare (ancora una volta) alla memoria di tutto, a tutte le età possibili, a ogni luogo e a ogni tempo, intonando con quello spazio i LA della Laguna.