LE CINQUE ROSE DI JENNIFER

di Annibale Ruccello

regia Pierpaolo Sepe
con Benedetto Casillo, Franco Iavarone
produzione Teatro Stabile di Innovazione fsc

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Jennifer che aspetta da tre mesi una telefonata di un uomo incontrato una sera in una discoteca.  Jennifer che fa la spesa, compra rose rosse, poi si prepara.  Jennifer che si appresta ogni giorno a rinnovare questo rito dell’attesa. Ma non è sola in questa solitudine atroce Jennifer, in questa attesa inevasa. Tutta l’umanità che ruota intorno a lei, di travestiti e no, riecheggia la stessa tragedia, comica. Il cavalier Antonetti attende da tre mesi di sentire la sua Luana. Anna aspetta da tre mesi che qualcuno risponda al suo annuncio sul giornale. Tre mesi, la misura fatale di questa caleidoscopica proiezione, la cifra di un’impossibilità a cui queste creature non si rassegnano.  “Ѐ notte. Sono le 3 e 45 e mi sento sola. Non riesco a prendere sonno. Un muro nero di angoscia circonda la mia esistenza. Scuro inferno. Siamo soltanto degli esseri solitari. Cui qualcuno. Sarcasticamente dà il nome di persone”. Questa la poesia che una travestita, Sonia, legge alla radio chiosando: “Io vorrei che queste mie poesie venissero pubblicate… perché credo di aver capito finalmente cos’è, no… veramente l’esistenza”. L’esistenza è questo abisso comico di solitudine. Una tragedia che si fa lampante, evidente, struggente in corpi al limite dell’accettabilità. Nella seconda riscrittura del 1986, Ruccello stesso spostò l’ambientazione del testo, dai Quartieri, a una zona più residenziale, facendo ruotare progressivamente l’asse del personaggio perché non si perdesse la sintesi pura che Jennifer nasconde e che non è racchiusa unicamente nella sua ambiguità, ma in qualcosa che nasconde piuttosto un’eccedenza, un’inaccettabilità. Oggi Jennifer ha un corpo pesante, schiacciato dall’età oltre che dalla sua ambiguità. Un corpo vecchio, un corpo ai margini del tempo più e oltre che della società. Il maniaco che si aggira per il quartiere di questa mente desolata non è che lo spettro-spauracchio di questa sorte inesorabile che precipita su tutti noi al calar della sera.

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