MEDEA
di Euripide, regia Federico Tiezzi
Teatro Grande, 7 Gennaio ore 21.00 e |
Teatro Grande, 7 Febbraio ore 21.00 e |
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C’è un prima e un dopo nel mito di Medea. Il prima è la Colchide, la terra incognita, oltre molte colonne d’Ercole, una terra di forza naturale, un’origine, la “terra natale” in cui «dire sé stessi» di Heidegger. E c’è un dopo, che è Atene, regno di Egeo e dell’apollineo, pronto a essere invaso dal dionisiaco di Medea. Nel mezzo c’è Corinto: feroce turning-point le cui carte sono state però già date prima. Il prologo musicale che ho chiesto di comporre a Silvia Colasanti nasce da questa intuizione: in proscenio, addormentata, Medea sogna il mondo del prima. Un mondo tribale e lontano, una “terra del rimorso” demartiniana ancorata al mondo naturale, minerale, animale, il cui totem è un uccello. Questo prima della donna straniera, barbara, che da immigrata affronta il purgatorio del disprezzo e dell’esclusione, è la chiave del mio spettacolo. La Colchide come un’alterità lontana eppure inalienabile, una profondità interstellare: un grande Autre lacaniano, dove i codici regolari delle cose si mescolano, si confondono, si oltrepassano. Anche Giasone è, a sua volta, un portatore di violenza: ma una violenza di tipo diverso – simbolica, oggi diremmo “neocapitalista”. Una violenza dettata dalle convenienze politiche, dinastiche, economiche.
A quella violenza simbolica, Medea risponde con una violenza “reale”. Ho quindi impostato la tragedia non come una rappresaglia individuale, ma come uno scontro fra due diverse concezioni della forza. È un clash fra culture, tra la società tribale e rituale della Colchide e la polis fondata sulla legge. Uno scontro fra una società arcaica e una società post-industriale. Tra Ordine e Disordine. Medea afferma la superiorità della forza del suo mondo contro quello di Giasone; contrappone la distruzione fisica della famiglia alla distruzione simbolica che le avanza Giasone. In un certo senso, è proprio lei che “vince”: come ha scritto Roland Barthes parlando del marchese de Sade, la lettera vince sempre sul simbolo; l’evento prevale sulla struttura che lo giustifica; il corpo viene prima di ogni metafora. Soccombono i figli, soccombe l’idea stessa del futuro.
Resta solo il silenzio.
Federico Tiezzi