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MEMORIE DAL SOTTOSUOLO

da Fedor Dostoevskij, adattamento e regia Gabriele Lavia

TEATRO MERCADANTE 8 Novembre 2006   19 Novembre 2006
date da definire

Ospitalità

8 – 19 novembre 2006 | Sala Mercadante

Teatro di Roma
Memorie dal sottosuolo
da Fedor Dostoevskij
adattamento e regia Gabriele Lavia
scene Carmelo Giammello
costumi Andrea Viotti
musiche Andrea Nicolini
luci Giovanna Santolamazza
con Gabriele Lavia, Pietro Biondi, Euridice Axen
foto Serafino Amato

Per “Sottosuolo” Dostoevskij intende una particolare condizione umana: la condizione dell’uomo solo, escluso dal consorzio umano e ripiegato su se stesso. La solitudine è la sua malattia ed essa porta con sé l’indifferenza, l’astio, il livore, l’odio nei confronti di tutti gli altri. Sono questi sentimenti che fanno del “Sottosuolo” il vero inferno sulla terra, inferno alle cui pene i dannati si sottomettono come per una oscena fatalità e con un senso chiaro e vivissimo della propria Colpa, trascinati da una assurda esaltazione.

Questo mio “adattamento” per il palcoscenico si fonda sull’ultimo episodio con cui si chiudono le Memorie dal sottosuolo. È un episodio emblematico, una specie di metamorfosi dello stato in cui versa il protagonista che va incontro a un avvenimento di fondamentale importanza: l’appuntamento con una donna. Non una donna qualunque: la donna di tutti… la prostituta. In questa “ultima scena” ho cercato di introdurre le confessioni che fanno impietosamente luce sugli angoli più bui e sudici del “sottosuolo” del protagonista e che occupano la prima parte nel racconto di Dostoevskij. L’angosciosa ammissione del suo fallimento, col potente, oscuro senso di colpa, è il tema che fa da sfondo all’ultimo incontro, o forse il primo di una nuova fase della vita di quest’uomo: l’incontro con una creatura femminile, una giovanissima prostituta: personaggio che è spesso di scena nella invenzione letteraria di Dostoevskij. L’incontro fra l’uomo e questa giovane donna è fallito in partenza per il muro di disprezzo che egli mette tra sé e la “donnaccia”… Dall’immaginario dell’uomo emerge infatti una fantasia distruttrice e vendicativa che fa della creatura che gli sta davanti il capro espiatorio delle proprie umiliazioni: diventa l’oggetto su cui scagliarsi con tale crudeltà da ferirla profondamente e macchiarsi di una colpa insanabile. “Mi avevano umiliato per tutta la vita, e anch’io ho voluto umiliare”.

Gabriele Lavia