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QUATTO COMMEDDIE DINTO A UNA

di Pasquale Altavilla, drammaturgia e regia Renato Carpentieri

RIDOTTO DEL MERCADANTE 16 Gennaio 2006   5 Febbraio 2006
date da definire

Quatto commeddie dinto a una
di
Pasquale Altavilla
drammaturgia e regia Renato Carpentieri

personaggi e interpreti

Saverio | D. Pasqualone Cefalotto   Antonio Conforti
D. Stefano   Stefano Miglio
D. Fabrizio Scassone   Antonio Franco
D. Tiburzio Campanone   Salvatore D’Onofrio
Emilia   Daria D’Antonio
Donna Irene   Patrizia Di Martino
D. Anacleto | D. Onofrio Tirafiato   Ciro D’Errico
Lauretta   Laura Borrelli
Pulcinella   Michele Danubio

scene e costumi
Annamaria Morelli
disegno luci Peppe Cino
collaborazione musicale Rosario Del Duca
movimenti coreografici Paola Bellisari
aiuto regia Giuliana Pisano
assistente alle scene Roberta Mattera
assistente ai costumi  Giovanna Napolitano
direttore di scena Gaetano Piscopo
elettricista Antonio Gatto
scene realizzate da Tecnoscena s.n.c.
costumi di C.T.N. 75 di Canzanella Vincenzo
fotografo di scena Giuliano Longone

Quatto commeddie dinto a una è un testo complesso, scelto tra una dozzina di testi manoscritti o stampati poco rappresentati, e non è stato facile ridurlo ad un atto unico. È pieno di idee, ovvero, come direbbe Altavilla: “Uh! che ppriezza! e ccomme sfila lo vapore ne’… li penziere se nne stanno venenno a ccofena...”

Pasquale Altavilla era commediografo, attore, letterato, mimo, ballerino e sonatore di chitarra. “Amava chiamarsi Don Pasquale Passaguai, per farsi compatire ed al tempo stesso irridere. Era uno spirito irrequieto…” (V. Viviani); grande lavoratore, attento alle trasformazioni della città- da cui pigliava spunto per le sue commedie- e maestro nella parodia. Con una certa cultura e buon gusto rimaneggiava in modo originale il materiale che gli veniva dai libri e dalla vita: “No… no… non me piace de piglia’ na commeddia francese e stravisarla pe li scene noste: chiuttosto leggere e acchiapparte n’idea… no bello penziero… Caro Totonno mio, nui aute poete, maste de cappella, eccetera, simmo na maniata de mariuole, non te lo nnego, ma vi’, s’ha dda sape arrobba’… Liegge, comme t’aggio ditto, acchiappa na guappa posizione da dinto a na commeddia, a no dramma, a na museca antica… te nce cucche ‘ncoppa, accommienze a ppenza’, la musa porzí te scioscia, e ttu vaie ‘mpoppa co l’argomento, l’equivoce, li ssospenziune de scena… E assicùrate che quanno l’argomento è nnuovo e speciuso, lo dialogo te lo siente vení allegro e aggraziato da dinto all’uosso pezzillo, se po’ ddicere ”.

Herzen nel 1848, un anno prima della pubblicazione della Commedia così parlava del mondo che conosceva: “Tutto è mutato in Europa, sotto l’influenza della borghesia. L’onore cavalleresco è stato sostituito dall’onorabilità dei ragio­nieri, i costumi gentili dai costumi decorosi, la cortesia dall’affet­tazione, la fierezza dalla permalosità, i parchi dagli orti, i palazzi dagli alberghi aperti a tutti (cioè a tutti quelli che hanno denaro). […] In tutta la vita europea contemporanea vi sono due tratti profondi, chiaramente provenienti dal banco di bottega: da un lato l’ipocrisia e la sornioneria, dall’altro la mostra e l’ostentazione. Vendere la propria merce esaltandola, comprare a metà prezzo, spacciare le inezie per cose serie, la forma per la sostanza, […] parere invece che essere, comportarsi decorosamente invece che comportarsi bene, serbare la rispettabilità esteriore invece della dignità interiore”.

A Napoli era il tempo de “lo tiatro in casa”. A vedere le scelte recenti di politica culturale verrebbe quasi nostalgia del tempo in cui dei buoni borghesi (la commedia è una storia di Fedi di Credito, ovvero di assegni al portatore) amavano il teatro a tal punto da organizzarlo in salotto; e forse questa moda ha anche contribuito a mantenere ed accrescere la raccolta di situazioni, lazzi, dialoghi, battute… e, insomma, in qualche modo ha alimentato il teatro.

Ma i tempi sono irrimediabilmente cambiati e noi, rigettando lo spirito antiquario, ci siamo proposti di lavorare di immaginazione. E che non ci sia nostalgia è significato dai costumi fantastici, accolti al meglio dalla scena-macchina, disegnati come sempre da Annamaria Morelli. E la recitazione è piena di movimento e di energia per allontanare qualunque ombra di naturalismo. Stare seduti su una sedia per un attore deve diventare una breve pausa dalla fatica o una necessità del racconto.

Pulcinella non appartiene a nessuno. Né ai padroni né ai servi. Egli, o Esso, viene fuori da un altro spazio, da un altro universo: “il suo in­gresso deve figurare un superamento dei confini del reale e, sia pure in un clima di assoluta bonomia, deve apparirci come uno spirito che torna” (Starobinski). Egli è inquietante, è il “perturbante”. Non si può giustificare il disordine, il cambiare casacca, l’anarchia, il disprezzo delle regole, la confusione delle chiacchiere incolpando Pulcinella; che è invece il Maestro del discorso obliquo (Scafoglio).

Forse abbiamo bisogno di cambiare ogni tanto i nostri schemi di pensiero e Pulcinella ci può aiutare, con battute che valgono uno spettacolo: “Sosamiello?… Nome d’inverno” o con quell’altra, degna di un doppio rovesciato di Shylock: “E non tengo pure io vocca pe digerì, e cuorpo pe mazzecà?”

Infine, debbo ringraziare gli attori, il Mercadante e i funzionari della sezione Lucchesi Palli della Biblioteca Nazionale. Solo nel fondo Salvatore De Muto sono raccolti 809 manoscritti, oltre alle 355 commedie a stampa. Una ricchezza.

Rassegna stampa – estratti:

“Lo spettacolo conferma per intero le attitudini comiche di questo gruppo di attori, cementato dalla rassegna dello scorso anno e dalle numerose apparizioni sparse nei vari inserti del progetto Museum. (…) E Pulcinella? Come sempre è affidato ai sapienti registri di Michele Danubio, che colloca la maschera in un limbo che è sempre, allo stesso tempo, figura interna ed esterna agli eventi, fedele a se stesso, più che ai dettami del testo”. (Stefano De Stefano – Corriere del Mezzogiorno)