Allontanandoci l’uno dall’altro, la pandemia ci costringe a riflettere sul senso della vita e sul senso del teatro. La nostra stagione più incerta (che il caso ha voluto far coincidere con il mio debutto da direttore del Teatro di Napoli- Teatro Nazionale) si apre con due spettacoli che si interrogano su quella speciale riscrittura della vita che è il teatro, sospesa tra memoria e ricostruzione. I manoscritti del diluvio di Michel Marc Bouchard, con la regia di Carlo Cerciello apre il Mercadante e Tavola tavola, chiodo chiodo, dedicato all’Eduardo politico, (quello delle lettere e dei testi in cui il grande drammaturgo si arrovellava sul rapporto tra teatro e società), pensato, diretto e interpretato da Lino Musella, inaugurerà il San Ferdinando.
“Non sarà il diluvio a decidere cosa deve sparire e cosa deve restare di noi”, fa dire a uno dei suoi personaggi Bouchard. E sembra parlare di noi oggi, alle prese con questo virus micidiale che sta minando tutte le nostre certezze. Denis Diderot riteneva che “la distanza nel tempo e nello spazio indebolisca ogni sorta di sentimento”. Ma fare teatro significa da sempre erigere un luogo fisico, e simbolico, in cui resistere a questo indebolimento. Ci troviamo anche noi nella situazione di Campese, il capocomico che Eduardo fa incontrare con un Prefetto nell’Arte della commedia. Anche noi, riaprendo il sipario, potremmo dire: “Eccellenza, stasera è una data memorabile per noi: capocomico, attori, attrici, autori, gente di teatro siamo tutti qui, su queste tavole gloriose… Alla sua presenza, Eccellenza, noi poveri comici del Capannone, ci sentiamo sperduti, soverchiati…” Ma anche noi, come Campese, potremmo concludere: “Ma io poi, perché dovrei essere così umile nei confronti di un’autorità il cui compito è quello di ascoltare il popolo e, nei limiti del possibile, provvedere ai suoi bisogni…?” Anche noi, come Campese- Eduardo, affrontiamo questo tempo di crisi con un sentimento che corrisponde alle aspettative più alte del teatro, convocando gli spettatori in un luogo magico che vuole continuare a dar conto al meglio degli umori del nostro tempo, puntellando i bisogni e i desideri di chi lavora nel teatro. Non una stagione minore, dunque. Una stagione che vuole tenere ancora più alta la bandiera del teatro pubblico, con spettacoli importanti, e compagnie importanti.
“In certi periodi della storia solo la poesia è capace di confrontarsi con la realtà perché la condensa in un qualcosa di afferrabile, un qualcosa che altrimenti la nostra mente non saprebbe ritenere”. Questo pensiero di Josif Brodskij mi aiuta a introdurre il progetto che dedichiamo a uno dei nostri poeti più significativi, Franco Marcoaldi. Due suoi poemi, l’inedito La quinta stagione (in uscita in ottobre per Einaudi) e Il mondo sia lodato saranno messi in scena da due grandi protagonisti della nostra scena teatrale, Marco Baliani e Toni Servillo. Non avremmo capito niente della sensibilità romana, continua Brodskij, se non avessimo letto Orazio, Ovidio e Properzio.  I versi di Marcoaldi, il più teatrale dei nostri poeti, ci aiuteranno a capire in che tempo ci troviamo: “È una stagione nuova, sconosciuta, /che le quattro della tradizione/raccoglie, supera e scompone/aprendo il campo a un tempo/indefinito, penoso e scriteriato –/sole nell’uragano, arcobaleno al buio, sete dell’affogato -/ cieca ricerca di un comune/ afflato che tenga insieme quanto/invece si slabbra, sfalda, decompone:/ ecco la quinta, inedita stagione”. E a intonare un sentimento di francescana gratitudine per la vita: “Mondo, ti devo lodare/per la tua stregonesca magia/intrecciata all’incoscienza/dell’uomo – millenni/di storia hanno accumulato/un enorme sapere senza/che l’anima sia progredita di un passo…”
Per segnare l’avvio della mia direzione ho scelto un testo cruciale di Thomas Bernhard, Piazza degli Eroi, un capolavoro che, inspiegabilmente, in Italia non è stato mai messo in scena. Oltre a essere un vero e proprio testamento, lo si può considerare il suo testo più politico, pur consapevoli che questo genio ha sempre declinato la politica in termini esclusivamente poetici. Certo è che qui Bernhard colpisce con il suo furore indomabile la zona più oscura del nostro tempo, il ritorno in campo di una destra fascista o nazista. Nel disegnare il suo estremo congedo dalla vita e dal teatro, Bernhard sceglie di dare un nome e un tempo all’ottusità brutale che vede avanzare. Ma come accade nelle opere più profonde e profetiche, l’Austria di Bernhard è un luogo concreto e, contemporaneamente, una metafora. Così come lo è la piazza che da il nome al testo, la stessa in cui nel 1938 Hitler annunciò alla folla acclamante l’Anschluss, l’annessione dell’Austria al destino nazista della Germania. Se è venuto il tempo di rappresentare in Italia Piazza degli Eroi è proprio perché, a dispetto della inedita precisione realistica di Bernhard, per comprendere il senso di questo testo visionario e catastrofico oggi non occorrono indicazioni di luogo e di tempo. Gli spettatori che assisteranno a Piazza degli Eroi, capiranno subito che l’azione si svolge in una qualsiasi piazza da comizio, di una qualsiasi città d’Europa. Ad affiancarmi in questa impresa, quali cerimonieri e testimoni del mio incontro con Napoli, ho chiamato Renato Carpentieri, grande attore e intellettuale, (che da quest’anno assume anche la direzione della Scuola di teatro, subentrando alla guida sapiente di Mariano Rigillo, che ringrazio caldamente per la dedizione appassionata e l’impegno intelligente che vi ha profuso in questi anni), e Imma Villa, una delle interpreti più originali del teatro italiano, un’artista della scena la cui fama non è, a mio parere, pari al suo talento.
Oltre al ritorno al Mercadante dopo anni di assenza di uno dei nostri più grandi attori e registi (tra i più celebrati di sempre, anche all’estero) come Toni Servillo, l’impegno produttivo del Teatro Nazionale di Napoli si lega al ritorno di uno dei nostri registi più profondi e acclamati, Mario Martone, con un bellissimo testo di Goliarda Sapienza, Il filo di mezzogiorno, sapientemente adattato da Ippolita Di Majo. La grande scrittrice siciliana, autrice dell’Arte della Gioia, attrice e regista di talento, in questa seconda tappa di quella che lei stessa definisce come la sua «autobiografia delle contraddizioni», ripercorre la propria terapia con lo psicoanalista Ignazio Majore, e lo fa mettendo in scena una memoria dissestata dall’elettroshock, ripescando volti e situazioni di un passato percepito come irrisolto, ricostruendo attraverso il racconto della terapia un luogo che assomiglia al teatro. Altro graditissimo ritorno è quello di Emma Dante, regista geniale, che propone in prima mondiale Pupo di zucchero da Giambattista Basile. Emma è una delle voci più originali, e libere, della scena di oggi e sono particolarmente contento che le nostre strade, che si sono più volte intrecciate, si ricongiungano a Napoli. 
Continuando a elencare le nostre nuove produzioni, tutte importanti, c’è Occhi gettati di Enzo Moscato, Spacciatore di Andrej Longo, per la regia di Pier Paolo Sepe, Hospes, -Ītis, regia di Davide Iodice, da un testo di Fabio Pisano, Solaris di David Greig, dal romanzo di Stanislaw Lem, con la regia di Andrea De Rosa, Il sorriso di san Giovanni di Ruggero Cappuccio con Giovanni Esposito e Claudio Di Palma, La pazza di Chaillot, con Manuela Mandracchia e la regia di Franco Però, Padri e figli dal romanzo di Turgenev, regia di Fausto Russo Alessi. 
In una stagione in cui sarà probabilmente difficile utilizzare lo spazio del Ridotto, ho immaginato anche una programmazione nella sala del Museo Madre, d’intesa con Laura Valente. Si tratta di creazioni affidate a personalità eccentriche, che lavorano al confine tra le arti, come Mimmo Borrelli, che da quest’anno sarà l’artista residente del nostro teatro, col suo ‘Nzularchia, spettacolo dove questo grande scrittore, regista, attore, anima abissi che appartengono ai luoghi in cui è nato e cresciuto, intonando da solo i vari personaggi del suo testo, in una partitura emozionante contrappuntata da musica dal vivo e da preziosi video, o come Tonino Taiuti, interprete sublime e audace, qui alla prese col Beckett de L’ultimo nastro di Krapp.
Importante anche il filo che lega le ospitalità, tra cui la mia regia di Ditegli sempre di sì, con Gianfelice Imparato e Carolina Rosi, che sigla anche la strada comune che da oggi il nostro teatro riprende con la Compagnia di Luca De Filippo, La vita davanti a sé di Romain Gary, interpretato dal grandissimo Silvio Orlando, Se questo è un uomo di Primo Levi, diretto e interpretato da uno dei nostri registi più sensibili, Valter Malosti, La notte dell’innominato di Alessandro Manzoni, con Franco Branciaroli e la regia di Daniele Salvo, Il Misantropo di Molière, con una compagnia di giovani interpreti, diretti da Fabrizio Falco, Cita a Ciegas del drammaturgo argentino Mario Diament con Luca Lazzareschi e Laura Marinoni, e la regia di un’artista della scena come Andrè Ruth Shammah.

E arriviamo ai progetti speciali, A’ freva, di Mario Gelardi da un testo di Fabio Pisano, e Arrevuoto, a cui da quest’anno, a fianco di Maurizio Braucci, si aggiunge Armando Punzo, un regista che con i suoi spettacoli creati con La compagnia della Fortezza di Volterra ha segnato la ricerca teatrale contemporanea, vivificandone il legame con la società. Last but not least, il Teatro Nazionale di Napoli, in questo annus horribilus per il teatro, si fa promotore di un bando rivolto agli under 35, finalizzato, attraverso il giudizio di una commissione, a scegliere tre progetti teatrali innovativi, di cui assumerà interamente la produzione. In un tempo così incerto e ferito, il compito di intercettare la creatività degli autori e dei registi di domani è un dovere imprescindibile del teatro pubblico. Infine, vorrei esprimere la mia gratitudine per l’accoglienza partecipe e calorosa al Presidente Filippo Patroni Griffi e a tutti i membri del Consiglio d’amministrazione. Come pure ringraziare Mimmo Basso, con cui in questi mesi difficili si è creato un affiatamento non comune, e tutta l’equipe organizzativa, di rara competenza e capacità, i dipendenti e i tecnici del teatro.

                                                                                                                                                       Roberto Andò