Produzioni
25 ottobre – 5 novembre 2006 | Sala Mercadante
Mercadante Teatro Stabile di Napoli
Zingari
di Raffaele Viviani
regia Davide Iodice
con Nino D’Angelo (‘o figlio d’ ‘a Maronna), Angela Pagano (‘a fattucchiara), Nando Neri (‘o diavulone),
Luigi Biondi (guaglione), Alessandra D’Elia (Marella), Salvatore Misticone (zi’ Pascale | medico), Alfonso Paola (guaglione), Alfonso Postiglione (Guarracino), Nunzia Schiano (Palmira), Aida Talliente (‘a mariola), Valentina Vacca (Palomma), Imma Villa (‘a tatuata)
musica in scena Daniele Mutino, Agostino Oliviero, Michele Roscica, Guido Sodo
scene Tiziano Fario
luci Maurizio Viani
costumi Enzo Pirozzi
coordinamento della parte musicale Guido Sodo
collaborazione alla partitura fisica Marina Rippa
assistente scenografa Grazia Pagetta
realizzazione video Gennaro Fasolino
direttore di scena Niko Mucci
datore luci Massimo Polo
capo macchinista Luigi Sabatino
fonico Diego Iacuz
sarta Giovanna Napolitano
aiuto elettricista Angelo Grieco
foto di scena Marco Ghidelli
Zingari è una favola meravigliosa e struggente, che muove continuamente tra visione onirica e quadro sociale. È l’immagine feroce di un popolo, di una stirpe, in tutto uguale alla società urbana di questi tempi. Una sorta di mito nero, potentissimo e vivo, quasi un rito finale, la fine di una etnia, un mito di ‘fondazione’ rovesciato, un mito di distruzione, una bellissima lotta tra vita e morte. Un’epopea della furia d’amore. E’ una civiltà esplosa quella di Zingari che in uno scenario visionario esprime tutta la violenza, le contraddizioni, le miserie di un clan tanto arcaico quanto tristemente contemporaneo. E solo nominalmente questo gruppo sociale è ‘zingaro’, sono napoletani questi zingari è in tutto simili ai napoletani di oggi. Uguale violenza, uguale chiusura, uguale radicamento al passato uguale disamore. Ci sono qui tutti i motivi più cari a Viviani ma con una veste stilistica assolutamente ‘nuova’; c’è un gruppo sociale reietto dalla società borghese, qui espressa dai dottori, c’è la religione e la magia, la Madonna e le fattucchiare; la ‘scienza’ e le credenze popolari, c’è la violenza del corpo e delle sue necessità; c’è ancora e sempre la lotta, per la sopravvivenza, per l’affermazione di un potere, per la conquista di un amore, per l’affrancamento da una servitù. Da un lato c’è Gennarino, il figlio della Madonna, emarginato tra gli emarginati, innamorato e riamato da Palomma, anche lei abbandonata da chissà quale famiglia, e dall’altro ‘o Diavulone, il capo tribù, una sorta di ‘camorrista nomade’ per così dire, che esercita l’imperio del suo possesso su ogni cosa e ogni persona. E poi ci sono duelli fantastici, deliri febbrili, violenze, canti disperati, incendi. Una lotta tra bene e male tra spiritualità e fisicità, tra superstizione e progresso, tra ‘coscienza civile’ e prepotenza. Una immagine attualissima.
Davide Iodice
La Favola all’origine del senso
Siamo in un campo nomadi che il testo colloca alla periferia di Napoli, ma assimilabile nella generalità del suo degrado, del suo dissesto, a uno dei tanti ‘non luoghi’, delle tante situazioni di marginalità di questo nostro mondo civilizzato. Qui è accampata una piccola e arretrata comunità nomade che ‘sopravvive’ in un mondo arcaico e superstizioso, ‘stracciando l’esistenza’ come dice Viviani in una totale separazione da una società tanto più progredita quanto pure ostile e distante. Tra di loro Gennarino, un orfano, un ‘figlio della Madonna’ che gli zingari hanno adottato, non sappiamo se per umanità o per interesse, ama segretamente Palomma, anche lei figlia adottiva della temuta e oscura Fattucchiara e di suo marito il Diavolone , capo tribu’ autoritario e violento che per la giovane ragazza nutre una ambigua passione. Ad intricare l’ordito dei sentimenti e delle relazioni, il folle amore di Marella, figlia naturale dei due capi zingari, per Gennarino ed il desiderio che per lui pure prova la Tatuata, ricca e misteriosa veggente della tribu’. Marella in preda alla passione si dichiara a Gennarino ma questi la rifiuta rivelando il suo bene per Palomma, e suscitando così la furia della ragazza che, fomentando la gelosia della Fattucchiara nei confronti della bella Palomma, la induce ad usare le sue arti magiche per scagliare contro di lei un sortilegio (‘fattura’) mortale. Gennarino, pur non volendo sottostare alle regole di questo mondo ‘arcaico’, finisce col cedere alla paura di perdere la sua amata e su consiglio degli altri zingari si rivolge alla Tatuata chiedendole una ‘controfattura’, un rimedio magico cioè, per salvarla. La Tatuata accetta di salvare la vita a Palomma, ma in cambio fa promettere a Gennarino che diventerà il suo amante. Nel frattempo il Diavolone, ormai stanco delle attenzioni che Palomma e Gennarino si scambiano sfida il giovane a duello. Gennarino dopo aver dichiarato finalmente il suo amore a Palomma si lancia nella sfida, nel desiderio di liberare la sua amata, se stesso e il suo popolo da quella insopportabile tirannia. Approfittando dell’assenza del Figlio d’a Madonna e della distrazione degli zingari, La Fattucchiara e Marella, compiono il loro sortilegio su Palomma, svenuta per lo spavento della sfida; le tolgono l’amuleto dato dalla Tatuata e le danno una pozione magica. Quando Gennarino ritorna dal duello, interrotto dalla Fattucchiara e dagli altri zingari, trova Palomma avvelenata. Furioso con gli altri zingari che non hanno saputo proteggerla, invoca disperato il soccorso della Tatuata che compie una nuova controfattura, ricordando però i termini del patto stipulato. Gennarino accetta, e pur di salvare Palomma, offre il suo sangue per il nuovo incantesimo. Palomma lentamente si rianima, Gennarino grida di felicità…
All’improvviso pero’ lo scenario cambia. Difatti ora troviamo il protagonista malato a letto, nella sua spoglia baracca, affettuosamente attorniato da tutti gli altri zingari. Si risveglia lentamente dopo una notte agitata. Apprendiamo che è a letto da diversi giorni e che ha la polmonite, e comprendiamo che la realtà deformata e visionaria a cui abbiamo assistito è frutto del delirio della febbre. Ora tutti appaiono amorevoli con lui e Palomma è già la sua fidanzata e promessa sposa. Ma allorquando Gennarino si assopisce per la febbre i ‘fatti’ sognati gli si rivelano come reali; scopre che Palomma è stata violentata a tredici anni dal Diavolone e la notizia gli crea un dolore tale che la febbre aumenta e lo getta di nuovo nel delirio. Nel secondo atto siamo al matrimonio di Gennarino e Palomma, nella piena realizzazione di tutti i desideri del protagonista, ma presto anche questa nuova realtà si rivelerà come un incubo; l’amore di Gennarino e Palomma sembra impossibile e impossibile l’affrancamento dal Diavolone e una vita nuova, diversa, evoluta, normale. Una nuova sarabanda di incantesimi e vendette magiche travolge i due innamorati e la realtà del finale sarà ancora una volta inevitabilmente diversa dai desideri, utopica e quindi irrealizzabile, amarissima e ancora imperscrutabile.
Rassegna stampa – estratti:
“[…] dai sipari tutti neri o tutti bianchi di garza alla collinetta prativa e poi fiorita della scena di Tiziano Fario, allo svariare delle musiche e degli urlati tra magie e sfoghi circensi con un matrimonio balcanico e un funerale che dilaga in platea dove al massimo della passionalità, Nino Dangelo dice pure a chiusura i versi testamentari dell’autore. E accanto a lui, “moderno Masaniello del degrado” come l’ha ben definito Enzo Moscato, brilla la scatenata Angela Pagano con Nando Neri, Imma Villa, Valentina Vacca nell’imponente applaudito complesso” (Franco Quadri – la Repubblica)
“Tutto avviene come nei sogni, l’allucinazione è visiva e soprattutto uditiva: dalle musiche in scena con fisarmoniche, buzuki, tamburi e violino che contrappuntano il dramma anche con canzoni, magnificamente cantate e recitate da D’Angelo, alle litanie della Fattucchiera della Pagano e della Tatuata di Imma Villa; dalla delirante corte dei miracoli bruegheliana, al vocìo comico e impotente sul cibo e i bisogni corporali; e infine allo strascicato, sporco, ossessivo, a tratti puramente onomatopeico, dialetto di Viviani. Come una lingua straniera, arcana e percussiva: così la lingua di Zingari, dovrebbe essere udita e assorbita, più che capita, fuori di Napoli. Uno spettacolo bello e vivo, alla cui piena riuscita contribuiscono tutti gli attori e i musicisti […]” (Giuseppe Montesano – Diario della settimana)
“L’ambientazione è quella di una comunità nomade, un universo di spettacolanti, creature emarginate in preda a grandi passioni, dotazioni magiche, perizia in numeri di acrobazia e illusionismo, come nei sani e sgangherati circhi che percorrevano le periferie delle città qualche decennio fa […]. Ora Iodice vi proietta l’amarezza e il fascino di tante comunità emarginate di oggi, con l’aiuto di accessori e costumi che confondono il tempo dietro sipari di garza e dà libero sfogo visionario ai piani di realtà che i personaggi vivono come affastellamento di desideri e delusioni.” (Gianfranco Capitta – il manifesto)
“Due sipari “cuciti” attorno a due atti: l’uno completamente nero, l’altro affatto bianco a comporre un enorme collage di variegati tessuti. Partendo da questa intuizione scenografica il regista Davide Iodice riesce a scandire sin da subito la temperatura emotiva di Zingari, straordinario allestimento dell’opera di Raffaele Viviani andato in scena al Teatro Mercadante – che lo ha prodotto – inaugurandone il cartellone”. Sembra quasi che quell’ “opus incertum” faccia da superficie indifferenziata recante in sé la ben riconoscibile impronta del tutto; dove per tutto intendiamo la commistione di idiomi, culture, musiche, scrittura scenica, generazioni di attori che compone il corpus di questo lavoro nato da un lungo e intenso laboratorio”. (Francesco Urbano – Roma)
“Con i versi de Il testamento si conclude la messinscena di Zingari diretta da Davide Iodice per l’apertura della stagione del Mercadante. Un’aggiunta decisiva, quella del regista napoletano rispetto all’originale stesura del testo di Viviani, peraltro autore anche della struggente poesia. Perché in quelle battute che Nino D’Angelo recita scendendo dal palco e attraversando a passi lenti la sala ancora buia, c’è il senso della rinascita e quindi dell’attualità di questa rilettura. (Stefano de Stefano, Corriere del Mezzogiorno)
Produzione in Tournée
Questo spettacolo fa parte delle produzioni del Teatro di Napoli - Teatro Nazionale e farà tappa in queste città: