Ospitalità
31 gennaio – 11 febbraio 2007 | Sala Mercadante
Ente Teatro Cronaca
Là ci darem la mano
travestimento mozartiano in due tempi
di Roberto De Simone
testi di Aleksandr Puskin, Molière e Luigi Da Ponte
con Franco Javarone (Antonio Salieri), Biagio Abenante (Amadeus Mozart), Paolo Romano (un violinista cieco), Renata Fusco (Donna Elvira), Giuseppe Ranoia (Leporello)
cantanti Paola Quagliata (soprano), Francesca Russo Ermolli (mezzosoprano), Francesco Marsiglia (tenore), Enrico Vicinanza (contraltista)
intermezzo per Burattini “Don Giovanni del Sole” di Stefano Giunchi e Luca Ronga
burattinai Angelo Aiello, Flavia D’Aiello
direttore Renato Piemontese
regia Roberto De Simone
regista collaboratore Mariano Bauduin
scene Nicola Rubertelli
costumi Odette Nicoletti
assistente ai costumi Marianna Carbone
disegno luci Luigi Ascione
orchestra Catello Cannavale (tastiera elettrica), Leonardo Massa (basso elettrico / violoncello), Filippo D’Allio (chitarra elettrica), Raffaele Di Fenza (marimba e percussioni), Antonio Mambelli (vibrafono e percussioni), Marilù Grieco (flauto), Luca Matingaro (corno), Nicola Ferro (trombone), Pasquale Di Nunzio (sax tenore), Francesco Armocida (sax contralto), Francesco Amoroso (tromba)
direttore tecnico Lucio Mazzoli
La rappresentazione parte dall’irrapresentabilità del catalogo mentale di Mozart se non attraverso un travestimento che contenga l’enumerazione infinita di virtualità mascherate, atte a individuare l’ineffabile scandalo d’un fanciullo divino che gioca con Dio e con il Diavolo che gli sorridono anche nella morte.
Così, secondo Puskin, Antonio Salieri individuò genialmente la natura mozartiana, affascinato, sedotto e angosciato da un’essenza geniale che riconosceva di non possedere, terrorizzato da ciò che non si comprende fino al punto da tentarne, in un improbabile sogno, la soppressione.
Ma si può uccidere un’anima? Proviamo allora a travestirne la musica, a cambiarne i connotati, a travisarne i colori, a schematizzare una partitura, a invertirne i ruoli vocali, a farne una fotocopia ricalcando i partimenti con un pennarello timbrico – come accadeva di fare a Andy Warlow. Qual è il risultato? Nulla: Mozart vi ritorna a tavola come un convitato di pietra che esige il saldo del conto, sorridendo e porgendovi la mano. E l’altro, il Salieri di turno – l’Andy Warlo – io stesso – viene spedito all’inferno con la esaltante soddisfazione di avere sperimentato il tocco di un mano ardente.
Partendo da tale presupposto, la rappresentazione – o l’irrapresentazione – attraverso i versi di Puskin, i versi di Da Ponte, la Commedia dell’Arte, la vocalità asessuata dei castrati, la sensualità del femminile, i formulari burattineschi d’un eros sublimato in ritmi minimali, elenca la ripetizione irripetibile del vivere o del morire, del cantare o del tacere, l’essere o non essere, del Don Giovanni e del Commendatore, del mangiare o dell’essere mangiati, dell’amare l’eterno ciclo senza riserve, annullandosi nell’incenerimento, fino a dispiegare il travestimento del più gioioso, irridente, ambiguo e burlesco contenuto moralistico:
Questi è il fin di chi fa mal.
Roberto De Simone