Ospitalità

19 – 25 febbraio 2007 | Sala Ridotto

I Teatrini
A fronte alta
un sogno del mille novecento cinquantasei
di e con Antonello Cossia
spazio scenico Raffaele Di Florio
musiche originali Riccardo Veno
costumi Daniela Ciancio
direzione tecnica Stefania Virguti
foto Francesco Albano

Ho scritto questo testo procedendo per accumulo di suggestioni, ricordi personali, resoconti di persone a me care. In un secondo momento si è delineata una forma più definita, si è chiarito dentro di me il senso di tale tensione e l’obiettivo che intendevo raggiungere. Ho cominciato una ricerca che man mano si espandeva e di cui rischiavo di perdere il controllo, sembrava ad un dato momento che tutto fosse accaduto in un solo anno dalla fine della II guerra mondiale in poi, il 1956. Era periodo di blocchi mondiali contrapposti, di braccianti che affrontavano dure lotte, di uomini che per guadagnarsi da vivere scendevano nel ventre delle montagne, di uomini che ricostruivano case distrutte dalla guerra, di uomini che sfidavano altri uomini con le mani coperte da guantoni per cercare di trasformare la propria condizione. Non si rifugiavano nei sogni, li inseguivano, se ne appropriavano, li rendevano spesso realtà. È grazie a ciò che il paese si è trasformato, uscendo, almeno in apparenza dal disastro della seconda guerra. Uomini che probabilmente in maniera inconsapevole, davano corpo ad una idea di utopia come qualcosa che non si è ancora realizzata, piuttosto che come qualcosa che non si realizzerà mai. La storia portante, il filo rosso che unisce e guida, è quella di mio padre ex-pugile, atleta della nazionale azzurra che rappresentò l’Italia ai giochi olimpici di Melbourne in Australia, nel 1956. Un articolo comparso in un giornale sportivo australiano, qualche giorno dopo l’incontro, riportava la cronaca del primo e unico combattimento sostenuto da mio padre in quella competizione. Aveva incontrato agli ottavi di finale colui che vinse in seguito la medaglia d’oro per la categoria dei pesi piuma, un pugile russo, Vladimir Safronov, che mandò tutti i contendenti al tappeto, tranne uno: mio padre. Nell’articolo però, per un errore, il nome di mio padre da Agostino si trasforma in Agatino non regalandogli la soddisfazione pubblica di essere riuscito in un’impresa che gli altri avevano mancato in quel contesto. Per fortuna, mio padre non ha mai dato peso a questo banale accadimento. Mi ha sempre colpito il suo modo di raccontare questa straordinaria esperienza, senza alcuna vanità (avrebbe potuto tranquillamente gloriarsi visto che è stato due volte campione d’Italia nel 1955/56). Il suo entusiasmo, quasi infantile, è relativo alla tensione, alla spinta che questa avventura ha donato alla sua vita, a ciò che ha ottenuto, non senza fatica e impegno, dove il sogno da realizzare non consisteva in qualcosa di impossibile, ma piuttosto qualcosa che si è tramutato in passione, in determinazione per la propria scelta di vita. […] Il neorealismo ha raccontato molto bene le tante storie, i drammi e le ambizioni di questi piccoli grandi sognatori. Io ho solo avuto il desiderio di aggiungerne un’altra, quella di un uomo normale, semplice, che ha affrontato la vita a fronte alta e che per fortuna è mio padre.

Antonello Cossia