Ospitalità
26 aprile – 6 maggio 2007 | Palcoscenico Mercadante
gioia corporation
Lunga, la strada
Chi era Aleksandr Vertinskij?
di Paolo Nori
con Mauro Gioia, Donatella Finocchiaro, Paolo Nori, Fabrizio Romano
canzoni di Aleksandr Vertinskij
musiche di Aleksandr Scrjabin
disegno luci Cesare Accetta
scena Mariangela Levita
abiti di scena Rocco Barocco
foto Marco Ghidelli
regia Gigi Dall’Aglio
con il patrocinio dell’Ambasciata dell’Ucraina in Italia e dell’Istituto di Cultura Ucraina Taras Shevchenko
“La vita di Aleksandr Vertinskij potrebbe essere usata come sintesi della storia russa della prima metà del ventesimo secolo, c’è tutto: la miseria, l’orfanotrofio, il teatro, la gloria, la guerra, la rivoluzione, l’Ucraina, i tedeschi, l’emigrazione, la Francia, l’America, il medio Oriente, i night club, Stalin, il ritorno, l’Unione Sovietica, la diffidenza, la morte, la gloria postuma, il mistero.” Paolo Nori
Tre brillanti slavisti italiani, laureatisi qualche anno fa, per i quali inspiegabilmente non si sono aperte le porte dell’insegnamento né dell’assistentato né del lettorato né del dottorato né niente, mossi dal bisogno e istigati dall’opportunità di prendere la parola su un palco, approfittano della passione di un loro ex compagno di studi per il cantante russo Aleksandr Vertinskij – passione talmente forte da rasentar la demenza – per riconvertirsi in una banda di psicologi comportamentali che gira l’Italia di convegno in convegno nel tentativo di guadagnare con la malattia la fama che lo studio non ha saputo dar loro.
Nella lontana Russia , prima della Rivoluzione del 1917, in un teatrino di trecento posti apparve un giorno un giovanotto magro vestito da Pierrot. Sopracciglia tragiche nere e bocca vermiglia si staccavano sulla maschera bianca del viso. Mosse nell’aria le sue mani – stranamente espressive – e cominciò a cantare. Forse per il fascino delle sue canzoni, che chiamava “canzonette melanconiche di Pierrot” o per la sua strana mise, che piacque al pubblico, si meritò il soprannome di Pierrot russo. Divenne celebre, fu imitato, suscitò l’entusiasmo del pubblico e la sua carriera si annunciava eclatante, ma venne la rivoluzione che ne causò la fuga in occidente e una seconda, dura gavetta.
Parigi, Londra, New York, la gloria incorona di nuovo Aleksandr Vertinskij. Il quale, all’apice del successo, scrive una serie di lettere al governo sovietico: «Lasciatemi tornare! Lasciatemi tornare ! La mia anima aspira con tutte le forze a ritornare in Russia, nella mia patria ».
Soltanto nel 1943, in piena guerra, i sovietici autorizzano il ritorno di Vertinskij. Il paese cominciava con fatica ad uscire da anni durissimi e da una carneficina insensata. Aleksandr Vertinskij diede un enorme numero di concerti. Il suo canto attraversò tutta la Russia. La gloria ritornò per la terza ed ultima volta.
“La vita di Aleksandr Vertinskij potrebbe essere usata come sintesi della storia russa della prima metà del ventesimo secolo, c’è tutto: la miseria, l’orfanotrofio, il teatro, la gloria, la guerra, la rivoluzione, l’Ucraina, i tedeschi, l’emigrazione, la Francia, l’America, il medio Oriente, i night club, Stalin, il ritorno, l’Unione Sovietica, la diffidenza, la morte, la gloria postuma, il mistero.”
Paolo Nori
Alcune cose sulla vita di Aleksandr Vertinskij
Aleksandr Vertinskij è stato protagonista, all’alba del secolo scorso, della vita teatrale di Kiev, di Mosca, di San Pietroburgo e poi di Varsavia, Parigi, New York, per stabilirsi poi a Shanghai per qualche anno e tornare, alla fine, sorprendendo tutti, in Unione Sovietica, con il consenso di Stalin, dicono alcuni.
La sua vita potrebbe essere usata come sintesi della storia della prima metà del ventesimo secolo, c’è tutto, la miseria, l’orfanotrofio, il teatro, la gloria, la guerra, la rivoluzione, l’Ucraina, i tedeschi, l’emigrazione, la Francia, l’America, il medio Oriente, i night club, il ritorno, l’Unione Sovietica, la diffidenza, la morte, la gloria postuma, il mistero.
Dicono che fu un cocainomane, ma chissà se è vero. Dicono che ebbe una relazione con Marlene Dietrich, ma chissà se è vero. Dicono che fosse prima anticomunista e poi comunista, ma chissà se è vero. Dicono che la sua morte fu annunciata più volte, e poi sempre negata, ma chissà se è vero. Dicono che quando morì davvero, nessuno diede la notizia, ma chissà se è vero.
Le uniche cose certe che restano, le uniche cose sulle quali non ci son dubbi, o quasi, sono le sue musiche e le sue parole, che ne fanno uno dei principali interpreti del cabaret come lo si intendeva allora, che rispetto al cabaret come lo si intende adesso, con tutto il rispetto, c’è la stessa differenza che c’è tra un cubista, per esempio Picasso, e una cubista, per quanto possa esser brava.
P. N. Parma, 17 dicembre 2006