Le statue movibili
da Antonio Petito
regia Lello Serao
drammaturgia Mario Santella
scene Tonino Di Ronza
costumi Anna Maria Morelli
disegno luci Lello Serao
personaggi e interpreti
Felice, scultore fallito
Antonio Franco
Cardillo, studente universitario, suo coinquilino
Gennaro Monti
Pulcinella, loro servitore
Sergio Di Paola
Luisella, giovane portinaia amata da Felice
Laura Borrelli
Don Pasquale, ricco proprietario di case
Ciro D’Errico
Don Asdrubale Barilotto, padrone dell’appartamento locato da Felice
Antonio Conforti
Donna Cornelia, zia di Felice, donna di paese, incolta e credulona
Caterina Pontrandolfo
assistente alla regia Alessia Sirano
collaborazione alla drammaturgia Lello Serao
assistenti ai costumi Roberta Mattera, Giovanna Napolitano
assistente alle scene Giovanni Scurria
direttore di scena Marcello Iale
elettricista Giuseppe Cino
scene realizzate da Tecnoscena s.r.l.
costumi di C.N.T. 75 di Canzanella Vincenzo
Fotografo di scena Giuliano Longone
si ringrazia
il Teatro Area Nord
Note di regia
Il testo de “Le Statue movibili” (attribuito ad Antonio Petito) è uno dei tanti tasselli che hanno segnato il percorso della cosiddetta “mutazione”, ovvero l’inarrestabile processo che terminerà con Scarpetta e che vede la definitiva affermazione di “Felice” a dispetto della storica maschera di Pulcinella, che per secoli aveva segnato le scene.
La sensazione, in questo testo, è che siamo ancora in una fase interlocutoria di questo processo, Felice è un giovane studente scanzonato e Pulcinella ancora un servitore scaltro, capace di risolvere, con le sue trovate, le disgrazie a cui la miseria e la costante mancanza di denaro condanna i due. Lo spirito è quello allegro e vivace che regna nelle case degli studenti squattrinati, per i quali l’amore, il gioco, il divertimento e il mangiare a sbafo costituiscono le uniche preoccupazioni della giornata.
Questo spirito allegro resta tale anche quando le faccende si complicano, anche quando la scoperta dell’inganno presuppone la punizione da parte degli adulti. Questi due mondi, quello bambino di Felice e Pulcinella e quello adulto dei proprietari di casa e dei parenti, non si incontrano mai, se non per artifici che servono ad arrivare ad un finale conciliante, ma le differenze restano e resteranno in barba alle promesse e alle buone intenzioni. Nei costumi di Annamaria Morelli questa distanza è palese, da un lato la miseria a cui fa da contrappunto la gioia spensierata, dall’altro lo sfarzo manifesto segno di solidità economica ma anche di arroganza e presunzione. La trasparenza dei comportamenti, l’inganno evidente, la manifesta volontà di trasgressione sono sottolineati e ancor più evidenziati dalla scenografia di Tonino Di Ronza che progredisce verso trasparenze in cui l’interno e l’esterno si fondono fino a quando la città invade l’interno casa. Il testo, come tutti gli atti unici, corre velocemente verso il finale, e allora con Mario Santella abbiamo cercato altre complicanze attingendo al vasto repertorio e anche all’improvvisazione, che è figlia delle prove con gli attori e del lavoro di messa in scena, tenendo fede al principio ispiratore del progetto “Pulcinella al Mercadante” che presuppone uno sguardo verso la tradizione attento, ma anche innovativo e provocatorio.
Petito, la città e un interno non d’autore
di Ugo Piscopo
Non più che un divertissement questo de Le statue movibili, ad altezza ovviamente di un talento d’eccezione, come quello di Petito, abituato a vendemmiare ordinariamente nei suoi spettacoli fanatismi, “imezi aplausi” (immensi applausi) ed “egomi” (encomi) del pubblico, come lui stesso registra nello stentato tracciato autobiografico. Figlio d’arte e nato interamente per un teatro costituito sulle risorse di una creatività estemporanea e di un mestiere artigianalmente perfettibile di giorno in giorno, Petito attribuisce alla testualità l’importanza non più che di materiale d’intrattenimento, quindi liberamente attingibile e manipolabile, come una res nullius che assume dignità e importanza solo attraverso la parola e il gesto dell’attore. In pratica, la letterarietà resta una dimensione di supporto pratico e secondario. Tuttavia, il successo e poi il bisogno di confrontarsi con prodotti culturali diversi a Napoli e fuori, dopo l’unità nazionale, lo inducono ad addomesticarsi con l’alfabeto, (con la grammatica giammai, come è noto), a scoprire che può essere anche felicemente “poeta” e a misurarsi con tematiche di “atualidà”.
E l’attualità introduce, anche se l’autore non ne prende piena consapevolezza o forse malgré lui, elementi che cambiano le equazioni precedenti della teatralità e della stessa drammaturgia, in sostanza collocando Petito sulla soglia della riforma che Scarpetta attribuirà unicamente a sé e che è certamente di Scarpetta nella misura in cui lo stesso ne ha piena coscienza.
L’attualità, ne Le statue movibili, funziona come fattore decisivo a fare della pièce un arguto e agile vaudeville in cui circola quasi un’aria parigina, ma dove sono presenti anche dei veleni propri alle atmosfere della città moderna. Il tema centrale è del giovane di relativamente agiata famiglia rustica che viene in città a cercarsi un altro destino, ma che non riesce, per indolenza e lentezza di indole, se non a indebitarsi col padrone di casa e a vivere di espedienti e di dolce far niente. A questo punto inizia la commedia, con l’ingresso in scena di un signore, ricco e supponente proprietario di case, che viene a proporre al protagonista, Felice Sciosciammocca e al suo servo Pulcinella, plebeamente e sanguignamente irridente ai tic e alle presunzioni del parvenu entrato di sua iniziativa in casa, di dargli in fitto gratuitamente per un po’ di mesi un appartamento: con la presenza del giovane e del suo servo il signor proprietario vuole sfatare la leggenda che la casa sarebbe abitata da spiriti. (E’ la premessa di una situazione che più tardi maturerà, con implicazioni interiori, in Questi fantasmi di Eduardo).
L’inattesa proposta destabilizza i calcoli e il linguaggio stesso del protagonista, che si difende a suo modo con ammiccamenti e pastiches linguistici. In realtà, dietro i gesti e le parole dei personaggi, si muove un’azione che li sovrasta: è la città che entra nella vita quotidiana e ne sconvolge l’ordinarietà e la privatezza. E’ l’arroganza della ricchezza che si accampa centrale e ineludibile come l’argomento con cui tutti devono fare i conti. L’interno familiare ne viene sconvolto: esso finisce per non appartenere più a chi ha il titolo legittimo di gestirlo secondo sue misure e suoi ritmi. La città, infine, trionfa definitivamente, come risolutiva di ogni nodo, nella scena delle “statue movibili”, che qui vengono chiamate in cause ed esibite come espedienti d’inganno, ma che non pertanto perdono la suggestività simbolica di sortilegio moderno, col quale Petito si misurerarà anche in altri lavori della sua ultima e lievitante stagione, come ad esempio Tre banche a ‘o treciento pe mille.… Na lotteria arfabeteca e soprattutto I quadri plastici e Il barraccone delle marionette meccaniche. Qui lo sgrammaticato e artigianale Petito fa dialogare Napoli con l’Europa e la modernità.