AUTOBAHN
un ciclo di brevi atti unici di Neil LaBute
traduzione Marcello Cotugno e Gianluca Ficca
regia Alfonso Postiglione
con Anna Ammirati, Gianluca Musiu, Alessandro Balletta, Clara Bocchino, Emanuele D’Errico, Fortuna Liguori
scene Sara Palmieri
costumi Giuseppe Avallone
disegno luci Angelo Grieco
video Alessandro Papa
consulenza musicale Paolo Coletta
aiuto regia Serena Marziale
direttore di scena e macchinista Nicola Grimaudo
elettricista Carmine Pierri
sarta Francesca Colica
foto di scena Marco Ghidelli
realizzazione scene Alovisi Attrezzeria
fonica Gelato Equipment
trasporti Autotrasporti Criscuolo
in collaborazione con Accademia di Belle Arti di Napoli
Cattedra di Scenografia – Prof. Luigi Ferrigno
produzione Teatro Stabile di Napoli – Teatro Nazionale
Durata spettacolo: 1 ora e 30 minuti (spettacolo senza intervallo)
Autobahn (Autostrade, in tedesco) è un testo drammatico del 2003 – inedito per l’Italia – dell’autore americano Neil LaBute, composto da sette episodi, indipendenti narrativamente. Sette dialoghi ambientati interamente ed esclusivamente all’interno dell’abitacolo di una automobile. Nei vari episodi, l’autore mette i suoi personaggi di fronte alla necessità d’una verità da svelare, della richiesta della sincerità più assoluta, ma soprattutto di fronte all’incapacità, frequente, di avere le parole giuste per poterla esprimere, parole che possano trasmettere la reale essenza delle cose, senza pericolose ambiguità che lascino ombre nei rapporti interpersonali. Le parole hanno il sopravvento sulle emozioni che cercano di veicolare, le anticipano, le sorprendono, infine le tradiscono. Ciò che fanno strenuamente i personaggi di questi testi è caricare di troppa responsabilità le parole stesse. Le usano come alibi, come se la colpa di non esser chiari e limpidi, veri e sinceri fosse delle parole e non d’altro (o altri) scaricando inutilmente sulla relatività e im-parzialità del linguaggio tutta la paura di accettare la frammentata, mutevole, contraddittoria essenza dell’essere umano. Le parole come baluardi, argini possibili alla nostra liquida impetuosa identità. E l’autore, per mettere in parola i suoi personaggi, usa uno stile concreto e apparentemente minimale, che affidandosi alla prolissità del discorso riesce a scongiurare il rischio di un banale realismo, raggiungendo, in molti accenti, effetti di surreale comicità, a tratti involontaria. Teatro, insomma.