PADRI E FIGLI
di Ivan Turgenev
traduzione e adattamento Fausto Malcovati e Fausto Russo Alesi
regia Fausto Russo Alesi
con Marial Bajma Riva, Giulia Bartolini, Alfredo Calicchio, Luca Carbone, Gloria Carovana, Matteo Cecchi, Anna Chiara Colombo, Eletta Del Castillo, Cosimo Frascella, Stefano Guerrieri, Marina Occhionero, Luca Tanganelli, Zoe Zolferino
musiche originali Giovanni Vitaletti
progetto scenografico Marco Rossi
costumi Gianluca Sbicca
assistente alla regia Davide Gasparro
produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Emilia Romagna Teatro Fondazione – Teatro Nazionale
Si ringrazia il Centro Teatrale Santacristina
Si ringraziano inoltre l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico e il bando SIAE- S’Illumina
Padri e figli è innanzitutto un “progetto” frutto di collaborazione, condivisione e investimento su studio e formazione e sono felicissimo e orgoglioso di arrivare in porto con un lavoro teatrale nato fuori da ogni logica produttiva e sviluppatosi con costruzione e tempistiche più libere.
E quindi, prima di tutto, un grazie di cuore e sincero a tutte le persone che ci hanno creduto e che lo hanno sostenuto.
Da molto tempo amo questo straordinario romanzo di Ivan Turgenev in cui scorre la ricchezza e l’orrore della vita. Il Centro Teatrale Santacristina diretto da Roberta Carlotto mi è sembrato il luogo adatto per conoscerlo meglio, per verificarne le sue potenzialità e i suoi parametri vitali: infatti è lì che il lavoro ha avuto la sua genesi, in un contesto di formazione appunto.
In quel luogo meraviglioso in cui il tempo magicamente si dilata, un luogo che mi lega alla figura straordinaria di Luca Ronconi che lo ha creato, un vero padre del teatro, mi sono voluto porre la domanda: “quale è l’eredità dei padri e quale è il futuro dei figli?”.
Questa domanda portante, a mio avviso, del romanzo di Turgenev, è ciò che mi guida in questo viaggio iniziato al Centro Teatrale Santacristina, in dialogo e con il supporto dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico, con il sostegno di MiBACT-Progetto speciale 2017 e SIAE – S’Illumina e abbracciato con forza nella produzione da Claudio Longhi ed Emilia Romagna Teatro e da Roberto Andò e Teatro Stabile di Napoli.
Le fondamenta su cui abbiamo appoggiato il nostro lavoro partono da un adattamento del romanzo reso possibile dall’autorevole e meravigliosa presenza nel lavoro di drammaturgia e di traduzione del Professor Fausto Malcovati. Ho voluto da un lato assecondare il carattere del romanzo e quindi non negare le sue dilatazioni e il suo lento sviluppo, dall’altro cercare la teatralità e la possibile sintesi di un capolavoro magistralmente scritto, ma che nasce per essere letto.
Da qui l’idea di provare ad indagare i possibili punti di vista da cui guardare il testo: da lettori di oggi che si mettono in rapporto con questa storia e con le sue tematiche, da personaggi che utilizzano la narrazione per raccontarsi attraverso il loro punto di vista, da una possibile figura di autore che si confronta con le sue creature, mettendole in relazione e attraversandole tutte per cercare di capire dove collocarsi nel mondo.
Questa è la difficoltà che oggi avvertiamo più di ogni cosa. Dove collocarsi?
Ho chiesto agli attori di mettersi nella condizione di non sapere mai quale è il passo successivo da fare, di non sapere come va avanti la storia o come si sviluppano i percorsi dei personaggi. Di cercare di capire chi sono attraverso l’incontro e la relazione con l’altro.
Una parola chiave dunque che mi ha guidato nel lavoro è la “distanza”. Quanto distante è da noi questo romanzo? E da qui che siamo partiti per cercare di colmare la distanza che ci separa dall’interpretazione dei “padri”: cercando punti di contatto o di distanza appunto da essi. E così per ogni personaggio, anche per il più piccolo, che Turgenev disegna con una precisione meravigliosa, dettaglio per dettaglio sfuggendo a qualsiasi etichetta. Tredici attori con la forza e la bellezza della loro giovane età, in uno spazio vuoto da costruire e abitare per dare corpo e forma teatrale al romanzo di Turgenev, ponendo al centro dell’attenzione la parola e le relazioni e accompagnati, dal vivo, dalla partitura musicale che Giovanni Vitaletti ha composto ascoltando ogni respiro del testo.
Il tentativo è la costruzione scheletrica di uno spettacolo di evocazione che si monta e si smonta, svelandone struttura e processo. Per quattro capitoli, quattro location: casa di Arkadij a Marino, casa Odincova a Nicol’skoe, casa Bazarov e in contrapposizione la trafficante città.
Luoghi dell’anima da un lato e della superficialità dall’altro, la profonda e vasta campagna e un’invivibile e corrotta città, l’intimità e il rifugio nelle case paterne ed inaspettati luoghi del mondo in cui trovare e affermare se stessi. Portare in scena oggi questo romanzo significa interrogarci sull’ “uomo”, sulla crisi di un’epoca e sull’eterno e difficile confronto tra le generazioni e tra le classi sociali. I duelli, le barriere i confronti e gli scontri che vediamo nel romanzo sembrano parlarci delle sfide della modernità.
Mantenere? Demolire? Costruire? O trasformare il passato di cui siamo figli, provando a leggere il presente e cercando un futuro che non si vede ancora? E’ commovente con quanta poesia e struggente leggerezza Turgenev riesca a parlare di tutto questo.
” L’importante è sapere chi sei e verso dove vuoi andare”: questo ci dice Turgenev. Ma tutto questo è inutile e impossibile senza ricostruzione sociale, senza democrazia, senza dialogo, senza solidarietà, senza cultura, senza il rispetto per l’amore e per la vita.
Padri e figli è un romanzo che fu molto criticato al suo esordio, romanzo che probabilmente scontentava tutti, poiché tutti apparentemente ne uscivano sconfitti. I padri conservatori e i figli progressisti, tutti si sentirono feriti in qualchecosa e per questo, forse, lo negarono.
Mi sembra invece, che la posizione di Turgenev sia estremamente umana, esistenziale. Mi sembra di riconoscere inquietudini e contraddizioni in ogni personaggio da lui descritto e mi sembra che l’uomo-Turgenev si dibatta tra l’uno e l’altro nel tentativo di comprendere quelle distanze, di colmarne i vuoti, lasciandoci intravedere gli abissi, le inettitudini e le debolezze dell’essere umano e soprattutto la sua incapacità di emanciparsene o di affrontarle.
Bazarov ha, da un lato, la forza e il talento di un visionario capace di demolire un ordine costituito e un passato obsoleto, è in grado di prendere le distanze da un presente mostruoso e corrotto e potrebbe, con i suoi occhi, tracciare un ponte con il futuro per dare risposte alle nuove generazioni; ma dall’altro ha anche in potenza la violenta degenerazione della sua coerenza. Quando leggo il capitolo sulla morte di Bazarov, mi sembra di cogliere nel suo gesto di abbandonarsi ad essa e di esaurirsi definitivamente, un grande gesto di accettazione del limite umano, una consapevolezza di non aver saputo cogliere il segreto della vita e una consapevolezza dell’orrore che può scaturire dalla sorda convivenza tra gli uomini. E mi piace considerare questi grandi personaggi, come pianeti, continenti, che si narrano e che hanno visioni del mondo e norme talmente differenti che non fanno altro che scontrarsi non riuscendo a comprendere che gli uni sono indispensabili agli altri. Alla luce di tutti i fallimenti della nostra storia fino ai giorni nostri, di tutte le guerre che ci sono state e continuano ad esserci, di tutti i dogmi, le dittature e i regimi, di tutte le utopie e i loro crolli mi sembra che Turgenev ci parli proprio dall’alto di quel fallimento e con onestà e spaesamento navighi a vista nella precarietà e nel nichilismo delle nostre società interrogandosi con pudore su quali basi costruire quel ponte sul futuro senza mai dimenticare che i giovani presto saranno vecchi e che i vecchi un tempo sono stati giovani.
Fausto Russo Alesi