PERSONAECORE
testo e regia Sandro Dionisio
con Roberto Azzurro, Francesca Fedeli, Tina Femiano, Antonella Romano
scene Renato Lori e Gilda Cerullo
costumi Marianna Carbone
luci Carmine Pierri
musiche Gaemaria Palumbo e Giosi Cincotti
angelo in voce Nadia Carlomagno | Dicitencello vuje è cantata da Pietra Montecorvino
aiuto regia Gianfranco Antacido
direttore di scena Enzo Palmieri
fonico Guido Marziale
sarta Annalisa Riviercio
foto di scena Mario Spada
assistente produzione tirocinante Università degli Studi di Napoli Federico II Matteo De Luca
assistente scenografa tirocinante Accademia di Belle Arti di Napoli Marianna Antonelli
produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale
Durata: 1 ora (atto unico)
Un apologo comico e tragico sulla solitudine della modernità, una tranche de vie, che è anche un processo alla nostra convivenza, tenuto nella sala d’attesa dell’ufficio invalidi di una Asl anonima, dove un’umanità dolente, si incontra si scontra, si racconta con la teatralità tipica del popolo napoletano. Gloria, una disabile mentale, è stata accolta in casa da Buonsignore un anziano che vive le antisale degli uffici invalidi come un’occasione di convivialità. Il rapporto tra i due (in pratica una coppia di fatto) è sotteso da tensioni inconfessabili e da istinti manipolatori dove forse la ragazza è vittima di un astuto nullafacente o forse l’uomo è vittima della sensualità ingenua e malata di una creatura sofferente che solo nel finale rivelerà la propria indole di femmina dominante. La pièce è velata da una nota di cinismo rapinoso che è ormai carattere universale: in questo caso amplificato dalle difficoltà economiche e umane della malattia. Personaecore è un atto unico sincopato da un buio, che è anche mentale, un buio breve e intenso come l’affiorare di un rumore di fondo graffiante dal caos della quotidianità. Il buio rimescola la scena, i personaggi e i sentimenti, trasformando la sala d’attesa in un aula di tribunale, dove la visita / processo impossibile avrà infine luogo per ratificare una pena inutile e forse feroce, come una nuova violazione, l’intrusione di uno sguardo distaccato nella realtà ribollente una manciata di sale cosparso sulla ferita aperta.