MACBETH
di William Shakespeare
traduzione Paolo Bertinetti (Giulio Einaudi editore)
regia Jacopo Gassmann
con Roberto Latini (Macbeth, barone di Glamis, poi barone di Cawdor, poi re di Scozia – terzo sicario al servizio di Macbeth – figlio di Macduff – un messaggero – due assassini) , Lucrezia Guidone (Lady Macbeth – voce Ecate) , Gennaro Apicella (Banquo, barone scozzese – Seyton, gentiluomo fedele a Macbeth), Riccardo Ciccarelli (Malcom, figlio di Duncan), Sergio Del Prete (Ross, barone scozzese), Antonio Elia (un servitore – Donalbain, figlio di Duncan – un servo – un servo di Macbeth – il giovane Siward), Fabiana Fazio (seconda strega – primo sicario al servizio di Macbeth – secondo messaggero al servizio di Macbeth), Marcello Manzella (Lennox, barone scozzese), Nicola Pannelli (Duncan, re di Scozia – un portiere – un vecchio – un medico scozzese – Siward, conte di Northumberland), Olga Rossi (prima strega – Lady Macduff – terzo messaggero al servizio di Macbeth), Michele Schiano di Cola (Macduff, barone di Fife), Paola Senatore (terza strega – dama di compagnia di Lady Macbeth- primo messaggero al servizio di Macbeth)
la voce registrata di Fleance è di Giovanni Frasca
scene Gregorio Zurla
costumi Roberta Mattera
disegno luci Gianni Staropoli
disegno sonoro Daniele Piscicelli
video Alessandro Papa
movimenti Sara Lupoli
regista assistente Stefano Cordella
realizzazione calco 3D Emanuele Paribello
produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale
spettacolo in coproduzione con Campania Teatro Festival – Fondazione Campania dei Festival
Macbeth è la storia di uno sguardo, uno sguardo che vede troppo perché si è nutrito della “radice della follia”. La sua mente poderosa racchiude – come in un eterno corto circuito – passato, presente e futuro ed è questa stessa capacità di contenere e accelerare il tempo, di vedere e allucinare il futuro, varcando i confini del possibile e dell’impossibile che lo porterà, alla fine, alla sua stessa autodistruzione. In questo luogo metafisico (che tanto ricorda la “Zona” di Andrej Tarkovskij), abitato da proiezioni fantasmatiche, dove il tempo stesso può essere piegato e i desideri più sfrenati sembrano potersi avverare, è come se il protagonista compisse un percorso a ritroso nella propria vita. All’inizio del testo lo incontriamo all’apice della sua virilità – il guerriero più rispettato della Scozia, “prediletto del Valore” – e lentamente lo vedremo tornare bambino. Un bambino sperduto, con i capelli bianchi. Macbeth infatti è anche la storia di un trauma antico che attiene all’infanzia e che sembrerebbe avere origini nell’impossibilità dei due protagonisti (che Freud definiva parti complementari e inscindibili della stessa psiche) di poter procreare. Non a caso, la parabola di Macbeth potrebbe essere letta come un disperato e sanguinario tentativo di sublimare questa impossibilità andando a eliminare, occupandone il posto, tutti i padri (e i figli) che sembrano frapporsi lungo il suo cammino. Macbeth è il lungo viaggio di un uomo alle radici del male. O meglio ancora, il progressivo inabissamento di una coscienza nel vasto e inesplorato territorio del rimosso. Una lunga giornata che procede inesorabilmente verso la notte, una notte in cui tutto va storto, in cui l’ordine delle cose è rovesciato e la natura stessa viene ferita e violentata. È a metà del testo infatti che troviamo un viatico al nostro progetto. Dopo la morte di Duncan, che non è solo un attentato alle leggi morali, politiche e dell’ospitalità, ma una vera e propria lacerazione del tessuto divino dell’umano, sarà Macduff ad ammonirci: “Affacciatevi alla camera, e una nuova Gorgone vi accecherà. Non mi chiedete di parlare.” È come se da questo punto in poi, un punto di non ritorno, il protagonista, attraverso la sua potenza distruttiva e visionaria al contempo, ci accompagnasse in una discesa agli inferi o lungo una galleria di immagini (e azioni) sempre più violente ed efferate che non dovrebbero mai essere evocate né venire alla luce. Una galleria dell’impensabile, dell’indicibile dunque, in cui entriamo a nostro rischio e pericolo.
Jacopo Gassmann