CLITENNESTRA
da La casa dei nomi di Colm Tóibín
adattamento e regia Roberto Andò
con Isabella Ragonese, Ivan Alovisio, Arianna Becheroni, Denis Fasolo, Katia Gargano, Federico Lima Roque, Cristina Parku, Anita Serafini
coro Luca De Santis, Eleonora Fardella, Sara Lupoli, Paolo Rosini, Antonio Turco
scene e luci Gianni Carluccio
costumi Daniela Cernigliaro
musiche e direzione coro Pasquale Scialò
suono Hubert Westkemper
coreografie Luna Cenere
trucco Vincenzo Cucchiara
parrucchiera Sara Carbone
aiuto regia Luca Bargagna
produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Campania Teatro Festival – Fondazione Campania dei Festival
Durata: 1 ora e 30 minuti (atto unico)
Dopo il debutto a Pompei, aprirà la stagione del Teatro Mercadante, Clitennestra il mito classico della regina assassina per la regia di Roberto Andò.
Leggendo il romanzo di Colm Tóibín, La casa dei nomi, ho provato una grande emozione, e alla fine, quasi senza accorgermene, mi sono sorpreso a fantasticare sulla possibilità di mettere in scena il personaggio più grandioso che vi è narrato, Clitennestra. Una figura che nell’Odissea è presentata come l’anti-Penelope, il prototipo della donna infedele e assassina. La stessa che quando Ulisse scende nel mondo dei morti e si imbatte nel fantasma di Agamennone è qualificata con l’appellativo di “perfido mostro”. Invece, nell’Orestea di Eschilo, Clitennestra è una regina assetata di potere, autrice di una vendetta che si prolungherà oltre la morte. Essa uccide il marito Agamennone che, oltre ad infliggerle gravissimi torti, aveva sacrificato in nome della guerra sua figlia Ifigenia ed è uccisa a sua volta dal figlio Oreste, che perseguita da morta fino al delirio. «Riabilitata» da filosofi e scrittrici, Clitennestra è rimasta a lungo il prototipo dell’infamia femminile. La sua vicenda è giunta a noi soprattutto grazie all’Orestea, la trilogia (Agamennone, Coefore ed Eumenidi) in cui Eschilo, nel 458 a.C., celebrò la fine del mondo della vendetta e la nascita del diritto. Nel romanzo di Tóibín, la tragica storia di rancore e solitudine, di sangue e vendetta, di passione e dolore è narrata da tre punti di vista, ma soltanto le due donne, Clitennestra e Elettra, raccontano in prima persona e la loro voce è decisamente la più drammatica. Chi conosce Tóibín sa che egli compone in ogni suo libro una drammaturgia del dolore e della perdita ed è interessato al silenzio che si crea attorno al dolore, alla vita di donne sole che portano con sé il peso di un trauma. Voci che parlano col timbro speciale conferitole della violenza subita. Se Clitennestra ci è stata tramandata come un personaggio essenzialmente negativo, qui finalmente si trovano dispiegate le sue ragioni umane. Ed è ciò che mi ha attratto di questo testo, per il quale ho subito individuato una interprete straordinaria come Isabella Ragonese. Un’attrice in grado di esaltare e modulare i toni complessi, ed emotivamente risonanti, di Clitennestra. Tóibín non dà giudizi, accoglie la potenza emotiva che scaturisce da questo personaggio e ne esplora le azioni confrontandole con le parole che adopera per far luce nel buio della sua interiorità danneggiata. Ne nasce un teatro di ombre, di voci, di fantasmi, che si muove dentro e fuori: dentro, tra i labirinti della mente, fuori in un luogo senza tempo dove vivi e morti dialogano senza requie.
Roberto Andò