ore 21:00
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ore 18:00

FERDINANDO

con Nino Bruno, Arturo Cirillo, Monica Piseddu, Sabrina Scuccimarra
scene Dario Gessati
costumi Gianluca Falaschi
luci Badar Farok
musiche Francesco de Melis
regista assistente Roberto Capasso
produzione Fondazione Salerno Contemporanea – Teatro Stabile di Innovazione
in collaborazione con Benevento Città Spettacolo

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Dopo essersi cimentato con Le cinque rose di Jennifer, Arturo Cirillo torna a Ruccello portando in scenaFerdinando. Nelle sue note di regia spiega: “Logica ed inconsueta, allo stesso tempo, mi appare la decisione di portare in scena Ferdinando di Annibale Ruccello. Logica, perché riconosco in Ruccello un mio autore, un autore sul quale sono tornato più volte, e con spettacoli per me fondamentali e rivelatori. Ma la scelta mi appare anche inconsueta, poiché per me Ferdinando è sempre stato legato allo spettacolo che da ragazzino vidi insieme alla mia amica Fabrizia Ramondino, credo poco dopo la morte di Annibale, al Teatro Cilea. Parlo dello spettacolo che ha girato per molti anni i teatri italiani e che si è avvalso della grande interpretazione di Isa Danieli. Il testo mi è sempre apparso molto diverso da tutti gli altri di Annibale: un testo più realistico, storico, dramma con una struttura classica. Qualche mese fa rileggendolo ho avuto una visione, mi si è concretizzato un mio possibile “tradimento”:Ferdinando mi è apparso come un grande travestimento, un cerimoniale, fratello dei testi di Jean Genet, penso soprattutto a Le serve e a Il balcone. Un testo terribile per come rappresenta la depravazione, un atto cannibalico non meno estremo di Anna Cappelli, anche se non portato fino in fondo. Un rapporto col religioso pieno di cocenti contraddizioni e rappresentato con cruda violenza, ma sempre con quell’amore struggente che mi pare abbia Annibale verso le ossessioni della sua vita, lo stesso difficile rapporto che poteva avere Umberto Saba quando intitolava un suo libro Atroce paese che amo. Il desiderio per un inafferrabile adolescente, nato da un inconsolabile bisogno d’amore, matura nella mente di personaggi disperati, prigionieri della propria solitudine, esacerbati dall’abitudine. Allora tutto l’aspetto storico mi è apparso una finzione, un teatro della crudeltà mascherato da dramma borghese, in cui anche la lingua, il fantomatico napoletano in cui si sostanzia Donna Clotilde, è esso stesso lingua di scena, lingua di rappresentazione, non meno del tanto “schifato” italiano. Insomma mi pare che con Ferdinando, ancora una volta e ancora di più, Ruccello faccia fuori i generi, sessuali e spettacolari, per mettere in scena l’ambiguo e il sortilegio”.