I Giganti della montagna è l’ultimo dei miti, testamento artistico, di Luigi Pirandello. Quest’opera, scrive Lavia, costituisce il punto più alto e la sintesi di tutta la poetica pirandelliana. I Giganti è un testo incompiuto. Magnificamente incompiuto. E non sapremo mai se questa “incompiutezza” sia dovuta all’impossibilità di finire l’opera o a una precisa intenzione dell’autore. Sappiamo che Pirandello morì la notte prima di scrivere l’ultimo atto, di cui aveva raccontato la “scaletta” al figlio, che fedelmente ne riportò, a memoria, il contenuto. Ma nessuno può essere certo che Pirandello avrebbe poi scritto il terzo atto come lo raccontò al figlio. Nel testo si riannodano tutti i temi e i motivi speculativi, drammaturgici, estetici, che sono connaturati al mondo dell’autore. Il clima che si offre allo spettatore è quello di una straordinaria, espressiva, ineffabile bellezza. I Giganti, mito dell’arte, è senza alcun dubbio il capolavoro di Pirandello. Capolavoro, forse, perché mai concluso. E, per questo, diventa un’opera aperta con un registro inventivo mai così fantastico. È come se il teatro del grande agrigentino fosse miracolosamente investito da un soffio di fantasia poetica che raggiunge l’altezza e la trasparenza dello sguardo di un “bambino”. Pirandello conclude così, con l’incanto di queste ultime pagine, il suo destino di fondatore del teatro moderno.