IL FRIGO
di Copi
traduzione Luca Coppola e Giancarlo Prati
regia Massimo Verdastro e Giuseppe Sangiorgi
con Massimo Verdastro
scene Pier Paolo Bisleri
costumi Roberta Spegne
luci Carmine Pierri
video Leandro Summo
assistente ai costumi volontaria Anna Amici
direttrice di scena Flavia Francioso
datrice luci Desideria Angeloni
fonico e tecnico video Diego Iacuz
macchinista Nicola Grimaudo
sarta Daniela Guida
foto di scena Ivan Nocera
si ringrazia Giacomo Sergio Buzzo e, per il trucco, Bruna Calvaresi
produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale
La commedia Il frigo di Copi è rappresentata in Francia dall’Agenzia Drama, 24 rue Feydeau, 75002 Paris.
Durata: 1 ora (atto unico)
È la mia frequentazione come interprete e regista di autori quali Sandro Penna, Oscar Wilde, Nino Gennaro, Carlo Emilio Gadda, Petronio Arbitro, che mi porta ad affrontare IL FRIGO, una delle opere più note di Raul Damonte Botana, in arte COPI, geniale drammaturgo, disegnatore, scrittore e attore franco-argentino scomparso nel 1987, che ebbi la fortuna di vedere in scena a Palermo nel 1980 nel ruolo di Madame nell’allestimento di Mario Missiroli de “Le serve” di Jean Genet.
Il frigo è un atto unico nel quale un solo attore interpreta sei personaggi diversi, e che si può considerare un classico della drammaturgia del Novecento. È un monologo che oggi possiamo accostare senza esitazione ad altre celebri opere, come ad esempio “L’uomo dal fiore in bocca” di Pirandello, o “L’ultimo nastro di Krapp” di Samuel Beckett – testo che ho interpretato nel 1993 per la Compagnia Krypton di Firenze.
Comicità irriverente, situazioni al limite dell’assurdo e del grottesco, funambolici travestimenti attraverso i quali, il protagonista e unico attore in scena, riesce a dar vita all’inesistente: sei personaggi immaginari che non rappresentano che le sue ossessioni, i suoi incubi. Egli è costretto-inchiodato nella propria stanza ove è presente un unico oggetto, un frigorifero. Fin troppo facile assimilare quest’oggetto ad un simbolo della nostra civiltà dominata dalla tecnologia, come è lo strumento – un registratore – che il protagonista de “L’ultimo nastro di Krapp” usa per conservare le parole-memoria come antidoto alla morte.
Il frigorifero di Copi al contrario è unicamente e crudelmente un totem, un simulacro, attorno al quale il protagonista pratica una danza feroce, macabra e kitsch, che genera un paradossale circo tragico, nel quale la comicità scaturisce da un teatro dove si muore spesso, magari tra torbidi delitti e fra atroci torture, ma dove nessuno sembra mai morire veramente: è questa non-morte che offre al testo l’impronta irresistibile del riso, della farsa, dello sberleffo osceno.
Massimo Verdastro