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Il mare non bagna Napoli
dal libro omonimo di Anna Maria Ortese
progetto a cura di Luca De Fusco

Oro a Forcella
drammaturgia e regia Alessandra Cutolo
con Antonella Attili
Toti Carcatella, Flora Faliti, Anna Patierno
costumi Zaira de Vincentiis
disegno luci Gigi Saccomandi
assistente alla regia, training, movimento Daniela De Stasio
datore luci Angelo Grieco
fonico Diego Iacuz
assistente ai costumi Elena Soria
sartoria Zambrano
materiale fonico Emmedue
foto Marco Ghidelli
produzione Teatro Stabile di Napoli

Una fila di donne. In attesa del loro turno. Al banco dei pegni.
Un banco pegni di oggi. Ma potrebbe essere anche quello del dopoguerra che racconta Annamaria Ortese. Impegnano oro, gioielli, oggetti che evocano ricordi. Che raccontano legami, relazioni problematiche, storie. Pongono questioni. L’impossibilità di spiegarsi il mondo con l’aiuto della ragione. Il rapporto difficile con l’invecchiare, con il mutamento imposto dal tempo. La relazione col divino, un divino tanto umano da essere ricreato da ciascuna a propria immagine e somiglianza. La doppia faccia della femminilità, ora angelica, ora feroce. La caducità dell’amore.
Donne che cercano di scavalcarsi, litigano, si raccontano, riflettono sull’esistenza. Ridono sulle loro disgrazie, si interrogano sul senso del dolore che le circonda. Tra di loro ce n’è una che appare estranea al contesto, parla un’altra lingua, è un’intellettuale. Potrebbe essere Annamaria Ortese. Il suo sguardo sulla realtà è meravigliato, spaventato, ma anche dolente. Ѐ circondata da un quartiere, o da una città, minacciosa e vitale, contraddittoria e feroce. Con cui cerca di entrare in relazione, di cui avverte tensione e pericolo. Da cui prova a difendersi, utilizzando gli strumenti a sua disposizione, la razionalità, la logica, la morale, ma ne vede il
continuo fallimento.
La scrittura scenica è stata realizzata a partire dal racconto Oro a Forcella de Il mare non bagna Napoli, con frammenti di Corpo celeste, Il cardillo addolorato e Da Moby Dick all’Orsa Bianca, con il contributo delle donne del laboratorio “Piazza bella piazza” di Forcella, che hanno arricchito la drammaturgia con elementi del loro vissuto.

Alessandra Cutolo

 

Sempre più stiamo tentando di caratterizzare lo spazio del Ridotto come luogo di pertinenza quasi esclusiva delle nostre produzioni e come luogo di ricerca e studio più che come sede di confezione di veri e propri “prodotti teatrali”. In questo disegno si inserisce il progetto de Il mare non bagna Napoli. Non ho bisogno di presentare il volume di racconti della Ortese: una delle opere di bellezza più lancinante e poetica sulla Napoli del dopoguerra. Le pagine della Ortese non sono evidentemente scritte per il teatro ma hanno una risonanza che fa spesso pensare ad una naturale derivazione teatrale. I racconti sono molto diversi: alcuni intimi, altri di grande respiro corale, alcuni realistici, altri surreali fino all’espressionismo. Abbiamo allora pensato di affidare a cinque registi diversi la trasposizione dei cinque racconti. Ho tenuto per me, e per Gaia Aprea, il primo racconto, Un paio di occhiali, e affidato ad un gruppo, in cui prevale largamente il sesso femminile, la trasposizione degli altri racconti. Ci siamo dati delle regole: grande essenzialità per l’aspetto scenografico, unitarietà nella scelta dei collaboratori del regista: Zaira De Vincentiis come costumista e Gigi Saccomandi come light designer; fatte salve alcune premesse di continuità abbiamo lasciato che i cinque piccoli spettacoli trovassero ognuno la sua strada e si differenziassero in modo analogo a quanto sono diversi i racconti. Il risultato almeno un sicuro vantaggio lo avrà procurato: far avvicinare o riavvicinare i nostri spettatori ad un volume di grande bellezza. Se siamo bravi e fortunati potrà capitare anche che si stabilisca una interessante varietà nella continuità e che i diversi registi e le diverse “compagnie” possano rispecchiare la comune versione amara, pessimista, tenera e malinconica di tutti i racconti ma anche la dimensione elegiaca del primo, intimista e quasi umoristica del secondo e così via.

Luca De Fusco

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