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IL PAESE DI CUCCAGNA

da Matilde Serao - adattamento e regia Paolo Coletta

TEATRO SAN FERDINANDO 28 Febbraio 2019   10 Marzo 2019
Teatro San Ferdinando, 1 Gennaio ore 21.00 e
Teatro San Ferdinando, 3 Gennaio ore 21.00 e
Teatro San Ferdinando, 3 Febbraio ore 19.00 e
Teatro San Ferdinando, 3 Marzo ore 18.00 e
Teatro San Ferdinando, 3 Maggio ore 21.00 e
Teatro San Ferdinando, 3 Giugno ore 17.00 e
Teatro San Ferdinando, 3 Luglio ore 17.00 e
Teatro San Ferdinando, 3 Agosto ore 21.00 e
Teatro San Ferdinando, 3 Settembre ore 19.00 e
Teatro San Ferdinando, 3 Ottobre ore 18.00 e
28/02/2019 ore 21.00
01/03/2019 ore 21.00
02/03/2019 ore 19.00
03/03/2019 ore 18.00
05/03/2019 ore 21.00
06/03/2019 ore 17.00
07/03/2019 ore 17.00
08/03/2019 ore 21.00
09/03/2019 ore 19.00
10/03/2019 ore 18.00

IL PAESE DI CUCCAGNA
liberamente ispirato al romanzo omonimo di Matilde Serao
testo, musiche e regia Paolo Coletta
con Michelangelo Dalisi, Gennaro Di Colandrea, Carlo Di Maio, Ivana Maione, Alfonso Postiglione, Antonella Romano, Federica Sandrini, Eduardo Scarpetta, Antonella Stefanucci, Anna Rita Vitolo
musiche eseguite dal vivo da Ondanueve String Quartet: Luca Bagagli, Andrea Esposito, Marco Pescosolido, Luigi Tufano
scene Luigi Ferrigno
costumi Zaira de Vincentiis
disegno luci Peppe Cino
movimenti coreografici Chiara Barassi
assistente alla regia
Mario Autore
assistente alle scene Sara Palmieri
assistente ai costumi Francesca Colica
direttore di scena Silvio Ruocco
capo macchinista Enzo Palmieri
elettricista Fulvio Mascolo
macchinista Marco Di Napoli
fonico Daniele Piscicelli
trucco e parrucco Tiziana Passaro
foto di scena Marco Ghidelli
fotografa di scena tirocinante Accademia di Belle Arti di Napoli Adriana Gallinella
assistente costumista tirocinante Accademia di Belle Arti di Napoli Sara Oropallo
produzione Teatro Stabile di Napoli – Teatro Nazionale

Uscito prima a puntate su “Il Mattino” e quindi in volume nel 1891, Il paese di cuccagna è un grande affresco del capoluogo campano, immortalato alla fine dell’’800, con cui Matilde Serao continua e completa il percorso iniziato con Il ventre di Napoli e proseguito con Terno secco. Al centro dell’opera c’è Napoli, la sua gente e il gioco del Lotto. Il gioco come valvola di sfogo quotidiana e possibilità di riscatto, ma anche causa della rovina materiale e morale dell’individuo, deriva dei sogni di facile arricchimento. Il

Uscito prima a puntate su “Il Mattino” e quindi in volume nel 1891, Il paese di cuccagna è un grande affresco del capoluogo campano, immortalato alla fine dell’’800, con cui Matilde Serao continua e completa il percorso iniziato con Il ventre di Napoli e proseguito con Terno secco. Al centro dell’opera c’è Napoli, la sua gente e il gioco del Lotto. Il gioco come valvola di sfogo quotidiana e possibilità di riscatto, ma anche causa della rovina materiale e morale dell’individuo, deriva dei sogni di facile arricchimento. Il paese di cuccagna è, nell’immaginario collettivo, l’Eden, la terra del benessere che tutti vorrebbero in un sol colpo raggiungere. La miseria non ferma la fantasia dei napoletani, anzi ne acuisce la proverbiale arte di arrangiarsi.
Paolo Coletta lavora sull’adattamento per la scena e sta sviluppando un testo che avrà il suo compimento in una forma di teatro con forti componenti musicali e con il contributo di parti cantate o a ‘tempo’. La messinscena, a partire dalla scrittura, rinuncerà a inseguire la linearità del racconto, cercando di isolare le storie individuali dei personaggi principali, circoscrivendole all’unica realtà rappresentabile scenicamente che è quella di un presente simbolico. Vedremo quindi vivere i protagonisti del romanzo, cercando di prediligere le relazioni e i comportamenti che condurranno ciascuno di loro alla rovina, piuttosto che l’oleografia del catalogo dei caratteri legati alla nostra città.

“Quando lessi per la prima volta Il paese di cuccagna, il tema che mi colpì immediatamente fu quello della salvazione. Nella copiosa galleria di personaggi tratteggiati da Matilde Serao c’è sempre qualcuno che cerca di salvarsi o salvare qualcun altro, che a sua volta chiede o meriterebbe di essere salvato. O guarito, laddove la malattia o la perdizione coincida con il tòpos del romanzo: il vizio del gioco, la ludopatia.
In realtà, credo che il discorso sul gioco del Lotto a Napoli non si possa esaurire con la sua assegnazione alla lista delle dipendenze patologiche che vanno dal gioco d’azzardo alle scommesse. Il Lotto a Napoli è molto altro e non certo soltanto la speranza che la fortuna renda propizia la statistica. Basti considerare l’importanza anche della ‘piccola vincita’ nell’esperienza di un popolo che ha ben presente che l’arricchimento di uno non sottrae a un altro la possibilità di vincere altrettanto (chi può dire di non aver mai giocato un terno o aver avuto una zia o un parente che l’abbia fatto); o l’unicità del linguaggio cabalistico legato alla relazione fantastica tra numeri e trascendente (inconscio o magia?). E poi il valore interclassista del rito…
Insomma, la condanna senza ‘se’ e senza ‘ma’, la prospettiva esageratamente catastrofica del romanzo, stigmatizzata già da Croce, ha cominciato a dissolversi nella natura ecumenica, indulgente e onnipresente del Teatro, che tutto crea e tutto comprende, con uno sguardo più antropologico che sociologico.
Semmai il problema, una volta che si è perso tutto al gioco, è chi si presenta a salvarci e perché lo fa. Può un’aquila che vola brandendo uno scoiattolo, pretendere che si consideri che lo stia salvando? A tale scopo, in una spericolata operazione di sintesi, ho rimescolato le figure del romanzo e ho isolato un gruppo di dieci personaggi quasi inediti, sovrapponendo, pescando e scartando stati d’animo, comportamenti, identità e concetti, cercando di mantenere bene a mente il principale assunto seraiano, e cioè che il gioco d’azzardo è certamente una rovina, ma la gente continua a giocare e lo Stato ci guadagna.
Poi, come si possa partire da tutto ciò e arrivare a una traduzione scenica a metà fra un vaudeville nero e un’opera buffa diventa il vero azzardo.
Ma nel romanzo ci si imbatte spesso in perle linguistiche che ispirano salti e scommesse ben più temerari. E allora “Passione perfida” può diventare un canzone a metà tra Mario Costa e Cole Porter, giù giù (o su su) fino a Rossini.
Si accettano scommesse”.

Paolo Coletta

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