Ospitalità
16 febbraio 2008 | Sala Mercadante
Teatro Petruzzelli di Bari, Orchestra Barocca Cappella della Pietà dei Turchini, Teatro Valli di Reggio Emilia
L’Alidoro
musiche Leonardo Leo – libretto Gennarantonio Federico
regia di Arturo Cirillo
assistente alla regia Nicola Berloffa
costumi Gianluca Falaschi
disegno luci Pasquale Mari
realizzazione luci Fiammetta Baldiserri
maestro alle luci Ugo Mahieux
scenografie Bellando Randone
cantanti
Maria Grazia Schiavo, soprano, nel ruolo di Faustina
Maria Ercolano, soprano, nel ruolo di Luigi
Valentina Varriale, soprano, nel ruolo di Zeza
Francesca Russo Ermolli, soprano, nel ruolo di Elisa
Giuseppe De Vittorio, tenore nel ruolo di Don Marcello
Filippo Morace, baritono, nel ruolo di Giangrazio
Gianpiero Ruggeri, baritono, nel ruolo di Meo
Gaetano Bruno, comparsa
Orchestra Barocca Cappella della Pietà dei Turchini diretta da Antonio Florio
violini primi Alessandro Ciccolini, Rossella Croce, Yayoi Masuda, Paolo Cantamessa
violini secondi Marco Piantoni, Nunzia Sorrentino, Massimo Percivaldi
viole Rosario Di Meglio, Fulvio Milone
violoncelli Alberto Guerrero, Claudia Poz
arpa Chiara Granata
tiorba Ugo Di Giovanni
contrabbasso Giorgio Sanvito
flauti Tommaso Rossi, Marcello Gatti
corni Gabriele Rocchetti, Francesco Meucci
fagotto Elena Bianchi
clavicembalo Francesco Moi
Con il contributo dell’Assessorato al Turismo e i Beni Culturali della Regione Campania e dell’Ente Provinciale per il Turismo
Un’intrigante avventura musicale riporta Arturo Cirillo al Teatro Mercadante, dove tre anni fa ha proposto la fortunata interpretazione de La Piramide di Copi.
Insieme alla Cappella della Pietà de’ Turchini, l’ensemble costituito da strumentisti e cantanti specializzati nell’esecuzione del repertorio musicale napoletano dei secoli XVI, XVII, XVII, Cirillo affronta questa volta Alidoro,una commedia per musica del 1740, esempio eccellente del genere buffo caratterizzato dalla convivenza linguistica di toscano e napoletano. Una sorta di ritorno alle origini per il Mercadante, nato proprio come tempio dell’opera buffa napoletana.
“Nell’Alidoro”, spiega Cirillo, “non accade niente, se non un sottile e bellissimo gioco di relazioni tra i sette protagonisti. Come in un testo di Marivaux contano solo le differenze sociali, dove i borghesi sono attratti dai servi e i servi invece amano solo i loro pari. In questo carillon d’entrate ed uscite, come in una commedia di Feydeau o un film di Ophuls, si entra in scena solo per pedinare, spiare o corteggiare qualcun altro. Il luogo dove questo avviene non ha alcuna importanza, potremmo essere anche a teatro. Immagino una calda astrazione, dove l’irreale funzione del canto, o del recitativo, trovi la sua naturalità. Un luogo dove la musica possa respirare e contagiare il corpo e la voce dei cantanti; dove il significato delle parole non sia disciolto dal suo suono.Uno spettacolo d’opera pensato per teatri all’italiana anche di prosa perché, che si canti o si reciti, sempre teatro è ciò che si va a fare: un collettivo gioco della morra tra interpreti, musicisti, direttore e ultimo, ma non meno importante, il pubblico. Nell’Alidoro tutti sono contagiati dal dio del dubbio, chi n’è esente lo è solo per una troppo disincantata (Alidoro) o alta (Don Marcello) idea di sé. Tutti sono comunque vittime dei loro sentimenti, portati in giro dal vento capriccioso della gelosia o della bramosia, in questo continuo sbattere d’ali d’oro sul tempo della musica”