comunicato stampa

 

Nell’ambito degli appuntamenti culturali che accompagnano la programmazione teatrale, venerdì 29 novembre alle 18.00 al Teatro Mercadante di Piazza Municipio verrà presentato il libro Il teatro e il suo doppio di Antonin Artaud, a cura di Giuseppe Rocca con postfazione di Giuliano Zincone, pubblicato da Dino Audino Editore.

A dibattere i temi e l’importanza che gli scritti contenuti nel volume hanno esercitato sulle avanguardie sceniche dalla seconda metà del Novecento ad oggi, il curatore del volume Giuseppe Rocca, il critico teatrale de Il Mattino Fabrizio Coscia, il regista, attore e pedagogo Michele Monetta.

Il teatro e il suo doppio

Pubblicato da Gallimard nel 1938, il volume raccoglie i saggi più significativi di Artaud. Questa è la seconda traduzione italiana. L’altra uscì presso Einaudi mezzo secolo fa, a vent’anni dalla morte dell’autore, e chiuse l’arco di trasformazione con cui da noi si era raccontato Artaud: dall’anarchico che attentava al teatro con brutali messinscene, dal grafomane recluso, distrutto dagli elettroshock, al poeta finalmente consacrato con l’Opera Omnia dal più prestigioso editore francese.

Scrive Giuseppe Rocca, curatore di questa edizione: «In varia misura e legittimità, quasi tutto il teatro di ricerca di questo cinquantennio si è riconosciuto illuminato dal Sole Nero di Artaud. Nel bene e nel male. […] Spesso, chi ha agito nel nome di Artaud ne conosceva solo qualche massima. E poche parole d’ordine sono bastate, per esempio, a provocare nel DNA teatrale una vera mutazione genetica: l’atto performativo (recitazione o lettura registica di un dramma) è, di fatto, passato da attività di secondo livello (interpretazione del testo) ad azione di primo livello (creazione scenica). […] Una nuova traduzione può servire anche a discutere di questo, a invitare a un consuntivo della fase che la versione Einaudi ha contribuito ad avviare e che oggi siamo maturi per storicizzare. […] Artaud distruttore del testo? Può esserlo uno che lascia ventisei volumi di scritti? Cos’è il rito, tanto sognato da Artaud, se non proprio quella ripetizione e quella fissità da lui tanto negate? È veramente applicabile in teatro quello che Artaud ha scritto sul teatro? Se cinquant’anni di teatro italiano sono stati influenzati da questo libro vuol dire che esso può avere effetti pratici. E vuol dire anche che la prassi ha bisogno di un pensiero che la stimoli, la guidi e la controlli eticamente». 

Antonin Artaud (1896-1948) è stato poeta, drammaturgo, attore (anche cinematografico) e regista, ma i suoi progetti (il Teatro Alfred Jarry, il Teatro della Crudeltà) non hanno avuto gli esiti sperati. Pensatore visionario e prolifico, la raccolta di tutti i suoi scritti riempie ventisei volumi. Nessuno, forse, fra i teorici della regia teatrale ha avuto un’influenza maggiore della sua sulle avanguardie sceniche dalla seconda metà del Novecento ad oggi.

Giuliano Zincone (1939-2013), grande firma del Corriere della Sera, si è laureato a soli ventitré anni con una tesi di seicento pagine su Artaud. Nel 1966 ha partecipato al primo convegno su Artaud organizzato dall’Università di Parma, con un intervento originale e controcorrente che è pubblicato come Postfazione a Il teatro e il suo doppio edito da Dino Audino Editore.